
Da sin. la rettrice Petrucci, don Bernardo e Gianfranco Monti
Firenze, 7 gennaio 2022 – Le parole formano la realtà che ci circonda e incidono nei comportamenti di ognuno di noi, rispecchiando valori, credenze, peculiarità umane. Ognuna è essenziale per comunicare i nostri sentimenti, le nostre emozioni, gli stati d’animo: pietre che possono far male, ma anche ali per desiderare cose inaspettate e un mondo più giusto.
Quali sono quelle che dovranno guidarci nell’anno appena iniziato? Lo abbiamo chiesto a vari fiorentini. Il conduttore radio Gianfranco Monti ha scelto la parola ‘luce’: “Per me la parola è senza ombra di dubbio ‘luce’ – ci ha spiegato –. Sono stato cinquantadue giorni all’ospedale e per me questo era un tunnel lunghissimo e vedevo quel pallino di luce laggiù in fondo…. e man mano che si avvicinava stavo meglio. Auguro quindi a tutti - me compreso – un 2022 pieno di luce, di luce bella, una bella luce che ci porti tanto bene perché tra Covid, lavoro, ecc, ecc, l’unico augurio vero che posso fare è questo”. Per Danilo Bencistà, fotografo, la parola del nuovo anno è ‘buonsenso’. Augura un anno pieno di buonsenso “soprattutto in considerazione delle condizioni in cui ci troviamo”.
“La parola – ci ha spiegato il fotografo – è molto facile da dire, ma difficile da adoperare”. Per Alessandra Petrucci, rettrice dell’Università di Firenze la parola è ‘condivisione’. “La condivisione è una galassia complessa – ci ha spiegato -. Il termine, che si declina anche in accezioni economiche e filosofiche, è divenuto molto popolare, perché è protagonista dei linguaggi social, in cui indica l’azione del pubblicare, del comunicare, del portare alla conoscenza degli altri. In una prospettiva universale, la condivisione è quanto cantava John Lennon: ‘Imagine all the people sharing all the world’… In realtà, la condivisione è la adesione ad un progetto comune, una tensione, una sinergia, un’esperienza che unisce. Condividere implica, inevitabilmente, la comprensione reciproca e il dialogo ed è una molla formativa fortissima, perché chi condivide si confronta, dà un suo contributo in termini di ascolto e di disponibilità, si mette in gioco, vuole far parte di una comunità. La condivisione si basa su un concetto di alleanza e porta in sé la dinamica della consapevolezza. È la strada per disegnare il futuro”.
Il dottor Gregorio Ciampa, medico, ha pensato alla parola ‘fiducia’. “Quella che ci è mancata dal 2020. Fiducia nell’altro, in noi stessi, nelle istituzioni e nella condivisione”.
Lo chef Fabio Picchi propone un “gruppetto” di parole: gratitudine, ascolto, passione e il termine fiorentino ‘gnegnero’, che nominava sempre la sua nonna.
“Avere gnegnero significa riflettere, discernere”. Per Picchi bisogna innanzitutto essere grati alla vita perché ci sono “le cose terribili” come quelle che stiamo vivendo nel mondo, ma ci sono anche “le ciliegie, le albicocche, i bambini, i cani, gli innamoramenti, la musica, il teatro, le parole scritte, il pensiero di qualcuno che nei millenni ci fa luce: i vangeli, ma anche i filosofi, gli storici, chi ha avuto la fortuna di studiare”. Lo chef ricorda che la nonna consigliava sempre l’ascolto “da trasformare in uno strumento straordinario” per imparare.
La passione poi “ti fa vedere e ambire l’orizzonte che vuoi avere nella tua vita”. Per la sua nonna poi era essenziale “l’anima, perché averla è una grazia ricevuta”. Se a tutte queste parole insieme si aggiunge lo ‘gnegnero’ come “attitudine quotidiana” abbiamo – per lo chef - una miscela esplosiva.
Il pittore Enrico Bandelli ci nomina tante parole significative, come ‘bellezza’ ‘tranquillità’, ‘amarsi l’un l’altro’, quest’ultimo un “concetto che si è perso”. La parola più significativa è per lui ‘incontro’: “sarebbe bello ricontrarci. Stiamo vivendo isolati, non si parla più. Sarebbe bello ricomunicare tra noi, tra uomini e donne, cosa che abbiamo perso dagli anni del Dopoguerra e dopo l’alluvione, ridiventare tutti fratelli. Si vive oggi in un mondo – ha concluso Bandelli – in cui non c’è comunicazione”, irrinunciabile quindi “ricomunicare fra noi”.
Annalucia Lapi, una nonna, afferma: “penso che ciò che manca in gran parte nella nostra società sia il senso di ‘responsabilità’ nei confronti degli altri”. Anche Lucia Rossi, dirigente scolastico ha partecipato all’inchiesta: “Mi piace – ha detto – la parola ‘stelle’ perché mi richiama il desiderio dell’infinito, di altro da sé, qualcosa a cui anelare per dare significato alla nostra vita. E mi piace ricordare come il nostro grande Dante chiuda la Commedia: ‘l’amor che move il sole e l’altre stelle’, segno dell’amore divino e della speranza umana”.
Secondo il garagista Tommaso Lai, la parola del 2022 è ‘speranza’ perché “non dobbiamo mai perderla, nonostante tutte le difficoltà e le avversità che soprattutto questo periodo ci presenta”. Nel corso della nostra storia – ha continuato – la speranza c’è sempre stata anche nei momenti più bui ed è grazie ad essa che siamo sempre riusciti a superare le difficoltà, uscendone più forti di prima”. Il giovane Tommaso si augura “che arrivi presto la fine di questa emergenza e che possa esserci finalmente un nuovo inizio, una ritrovata normalità per tutti noi”.
Per Lorenzo Bini, atleta e campione fiorentino di surf adattato, la parola dell’anno è ‘spinta’: “La spinta del mare che mi permette di cavalcare le onde, la spinta che cerco di dare ai ragazzi che incontro nelle scuole condividendo la mia esperienza”.
Don Bernardo Gianni, abate di San Miniato al Monte, ha detto: “la parola che augurerei è la parola ‘fecondità’”. L’abate ha scelto questa parola e ha spiegato che “con fecondità pensiamo, da un lato, all’assenza dilagante di bambini che nascono, dato importante, su cui anche recentemente il Papa ha parlato. Ci accorgiamo che la gente ha così paura del futuro da non generare vita e, quindi, c’è una fecondità molto organica, biologica ma anche inoltre una fecondità simbolica, esistenziale che rimanda alla possibilità con cui tutti ci possiamo impegnare per essere come degli esperti di arte maieutica, con cui preparare questa nascita di una novità che ridisegni perimetri e contenuti più umani per il nostro futuro. La fecondità però è anche nei rapporti – ha rimarcato Don Bernardo – perché si esca dalla nostra solitudine, da una dimensione fondamentalmente depressiva e deresponsabilizzante, in cui poi il nostro corpo diventa un sepolcro anziché sito del nostro cuore, di autenticità e fedeltà”.
L’abate di San Miniato al Monte ha anche ricordato: “parlare di fecondità significa interpretare in modo promettente la vita. La donna gravida porta in sé una promessa che verrà adempiuta con la nascita”.