di Carlo Casini
C’è chi fa risalire il suo nome al medioevo, quando appare per la prima volta in un documento, per mano dell’ecclesiastico Rolando di Gottifreddo che nel 1040 assegnava alla pieve di Santa Reparata la sesta parte del "Portus Arni ad Monticellum": il prelato si riferiva forse al primo piccolo monte che si vedeva arrivando al porto sull’Arno tra ’attuale lungarno del Pignone e via dell’Anconella, che sovrastava via Pisana dove poi sorse la Villa Strozzi.
C’è invece chi ipotizza che il toponimo sia di origine ben più antica, addirittura, etrusco-romana: ipotesi che raccoglie anche lo storico Giampaolo Trotta. I "monticuli" sarebbero antiche tombe a dromos di probabile origine etrusca rinvenute e protette come luogo sacro dai Romani durante la centuriazione della zona, che ci ricordano anche altri toponimi vicini (Cintoia, da "centuria" e le varie località come Soffiano, Ugnano, Mantignano).
Fatto sta che fin da epoche remote Monticelli fu una zona vitale e commerciale, grazie alla sua posizione strategica tra le prime colline e la piana d’Arno e lo svilupparsi a circa un miglio fiorentino fuori porta lungo l’antica via Pisana, da sempre collegamento tra Firenze e il mare.
Intorno a questo borgo vivace aprirono botteghe di commercianti e artigiani che lo hanno caratterizzato fin quasi ai giorni nostri. Quasi, perché oggi un lento declino porta a vedere sempre più saracinesche abbassate. Un paradosso, se si considera che il rione si trova a un tiro di schioppo da quella San Frediano oggi quartiere più di tendenza della città, dove si lotta per accaparrarsi l’ultimo fondo libero, e che il Pignone, nel mezzo tra i due, ha beneficiato di questa ventata sanfredianina arrivata da oltremura, vedendo rialzare diverse serrande.
"Negli ultimi anni il trend continua, alcuni fondi sono rimasti sfitti e alcuni sono stati trasformati in abitazione – dice Marco Di Bari, storico abitante di Monticelli – Solo in via Bronzino c’erano Il civaiolo, l’elettricista, l’alimentari, poi il pizzicagnolo in via Veneziano, il calzolaio in via Palazzo dei Diavoli, i laboratori artigiani di via Pisana… Con la scomparsa delle attività di prossimità si perdono i servizi e si aumentano le necessità di spostarsi o di ordinare online. Certo è la tendenza generale, avere un’attività è una sfida con grande distribuzione e commercio online; ma a Monticelli, la tramvia ha portato il turismo solo per venire a dormire, i turisti non fanno shopping qui, vanno in centro; anzi, questo turismo ha diminuito la clientela di prossimità".
"Prima il fulcro commerciale del quartiere era su Monticelli, nella parte storica, in via Pisana e via di Monticelli; poi si è spostato su Soffiano, intorno a via Starnina, dove prima erano tutti campi – racconta Enrico Nencioni, ora pensionato, ma che per anni ha avuto lui stesso una bottega di bigiotteria in via Pisana – Vicino alla chiesa c’era la cartoleria Pugi, il bar Cecconi, la latteria di Lucia Righi, accanto il cinema all’aperto, Cesarino il fornaio, il carbonaio… Gli ultimi a chiudere fu la filiale della Banca Toscana e la falegnameria in via di Monticelli. C’era persino un mercatino all’aperto degli ortolani in via di Monticelli, quello di Vasco e quello della Dora erano due banchi storici. Ora la gente va ai supermercati e la spesa per fortuna la portano anche a casa. Anche ai tempi, seppur in maniera diversa: c’erano il fornaio e il lattaio a domicilio, la mattina si scendeva con il bricco per il latte. Il più caratteristico era il pescivendolo che passava in bicicletta, con due secchi di pesci appena pescati e gridava "pesci d’Arnoooo". Si è perso un pezzo di identità di quartiere".
Ma c’è chi va controtendenza, come Alessio Boretti, che ha lasciato un posto da operaio sicuro e a tempo indeterminato, per aprire un’osteria ispirata alla più fiorentina delle tradizioni, dove la fanno da padrona la cucina povera, le frattaglie, i salumi e i vini di fattorie locali. "Sono partito con una piccolissima mescita e poi mi sono ingrandito nel tempo con altri due fondi, i tavoli, la cucina. Non è stato facile, ci è voluto tanto impegno, anche momenti in cui sembrava sgretolarsi tutto, ma ci ho sempre creduto: propongo al quartiere ciò che ho rubato con gli occhi ai miei nonni da bambino – spiega il giovane titolare della Piccola Botte – Gli anziani ritrovano i sapori di una volta, ma, soprattutto, i giovani riscoprono tradizioni e ricordi che non devono essere perduti".