OLGA MUGNAINI
Cronaca

Cappelle Medicee, i segreti di Michelangelo dopo la pulitura dei batteri

Concluso il restauro dopo otto anni della Sacrestia Nuova, con le sculture del Buonarroti

La Sacrestia Nuova di Michelangelo

Firenze, 8 giugno 2021 - «Una storia vissuta come se quei marmi non fossero pietre, ma cose vive». La storia è quella delle Cappelle Medicee, anzi, della Sacrestia Nuova, dove Michelangelo, a più riprese, creò intorno al 1530 quei capolavori assoluti del Giorno e della Notte, del Crepuscolo e  dell’Aurora, personificazioni delle varie parti del giorno, adagiate sui sarcofagi con le spoglie dei defunti della famiglia Medici. Con la supervisione di Monica Bietti,  storica  funzionaria dell’arte e già responsabile del museo delle Cappelle Medicee, si è concluso il restauro della Sacrestia Nuova, durato otto anni.  L’intervento, come avviene ogni volta che si mette mano a una  ripulitura, è stato l’occasione per studiare, analizzare e scoprire nuovi aspetti dell’infinita arte di Michelangelo, del suo tocco, del suo modo di procedere con la mano e con la mente. «La Sagrestia è un luogo dove all’apparenza tutto sembra perfetto - spiega Monica Bietti –: e invece le vicende di questo spazio narrano di un susseguirsi di difficoltà e abbandoni, di oblio e rinascita. Per questo il restauro fin dall’inizio è stato testato e poi sottoposto a costanti verifiche ottiche, metodologiche e scientifiche». L’ultimo step dell’intervento,  iniziato nel 2013, è stata la   pulitura delle sculture delle tombe di Giuliano Duca di Nemours e di Lorenzo Duca d’Urbino.

E per la prima volta su dei capolavori di Michelangelo è stata sperimentata, grazie alla collaborazione dell’Enea, una tecnica di biopulitura che usa dei batteri per rimuovere le macchie dal marmo. I parati marmorei così come le sculture erano coperte da depositi ed erano in più punti macchiate da residui di sostanze utilizzate in passato per proteggere le sculture durante l’esecuzione dei calchi. Dagli esami preliminari è emerso che il sarcofago di Lorenzo duca di Urbino era alterato da macchie di colore scuro, identificate dalle analisi eseguite dal Cnr come ossalati e materiali organici e ricondotte a liquidi organici da ricondursi alla sepoltura di Alessandro dè Medici che, assassinato, fu sepolto senza essere eviscerato. 

Per l’eliminazione di queste macchie sono stati individuati alcuni ceppi batterici in grado di rimuovere selettivamente i depositi, senza influenzare il marmo.  «Con Il restauro abbiamo potuto  approfondire le conoscenze tecniche sul modo di costruire o meglio sovrapporre le lastre marmoree e sulla maniera di eseguire le decorazioni figurative, vegetali e modulari - prosegue Monica Bietti –, un vero e proprio esercizio che permette di distinguere le mani dei collaboratori di Michelangelo, documentati in questa impresa. Così come si comprende molto bene che dal blocco in marmo scelto da Michelangelo per ciascuna figura, egli con il metodo del “levare”, partendo da un modello in terra a grandezza naturale, trova la forma, arrivando alla finitura tramite l’uso di diversi tipi di attrezzi. Lo stato di finitura delle sculture varia a seconda dei personaggi e anche in relazione alla loro collocazione e al rapporto con la fonte di luce. E questa è una novità e una scoperta resa possibile dal restauro».

Presentato dalla direttrice dei Musei del Bargello, Paola D’Agostino, il progetto di restauro conservativo e di manutenzione  ha visto il coinvolgimento di diverse professionalità e di istituti di eccellenza della ricerca e innovazione scientifica italiana, con team tutto al femminile composto dalle restauratrici Daniela Manna e Marina Vincenti, con le quali hanno collaborato Donata Magrini, Barbara Salvadori e Silvia Vettori, ricercatrici dell’Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale del Consiglio Nazionale delle Ricerche (ISPC-CNR) e Anna Rosa Sprocati e Chiara Alisi dell’ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile).