
di Emanuele Baldi
Di motori spazio temporali in grado di fare testacoda frenetici dai prosecchi buttati giù con "gli amici di qui" sul placido lungarno Corsini ai Margarita sbocconcellati a Rockfeller Center sui sedili di una Rolls giallo canarino non ne fanno più da un pezzo. E infatti questa storia, la storia di Tommaso Buti, il fu istrionico playboy dalla C aspirata, la si può raccontare solo rientrando nella capsula dei ’90.
Di quegli anni arrivati con il fiatone sul bordo della deriva digitale ma ancora tremendamente analogici. E perciò visti oggi come bramosi, scintillanti, kitch, esagerati. Di un’euforia effimera, eppure vivi perché del tutto sprovvisti di hashtag e vocali WhatsApp. Giorni di Barbie Girls, di stivaletti a punta, del gel spiaccicato sopra le orecchie, del Calvin Klein One soffiato sui baveri alzati delle Lacoste. Di George Michael, di Golf cabrio, delle liste nei privee’.
In quella Firenze tronfia e gonfia di moda e pr più o meno improvvisati gigioneggia Tommaso, novello imprenditore ventottenne. Vispo quanto basta per varcare la soglia di ogni villa vip e dominare la scena con Rolex super oro al polso, spregiudicato quel che serve per varcare l’Oceano e mettersi in gioco a New York fondando il visionario ’Fashion Cafe’ in mezzo ai nomi più sciccosi del tempo, Claudia Shiffer, Kevin Costner, Naomi Campbell e un ancora abbastanza pettinato Donald Trump.
Già proprio quel Trump che in queste ore, prima di chiudere l’uscio della Casa Bianca, ha voluto concedere l’indulgenza presidenziale – che la consuetudine e la legge conferiscono al Comandante in Capo come ultimo atto del proprio mandato – a quell’ex giovanotto fiorentino, "ragazzo fantastico". E sì perché Buti – in quella logica umana che Battisti definì delle "discese ardite" e delle "risalite" – riposte sul tavolo le coppe di champagne del Rockfeller sul finire del secolo era infilato in un corto circuito di pasticci giudiziari.
"Oltre 20 anni fa – sintetizza infatti la nota nell’elenco diffuso da Pennsylvania Avenue e relativo ai 143 graziati da Trump – è stato accusato di frode finanziaria per una catena di ristoranti, ma non è stato condannato negli Stati Uniti" (il provvedimento dell’ormai ex presidente americano riguarda ipotizzati reati contro il patrimonio occorsi in passato per i quali l’imprenditore è stato già processato in Italia e alla fine prosciolto dalla Corte di Appello nel 2007).
Acqua passata dunque per gli States anche se per Buti, oggi 54 anni, rimangono in sospeso i guai con la giustizia italiana (a maggio il tribunale di Firenze lo ha condannato a 5 anni e 10 mesi per bancarotta fraudolenta della società ’Sfere’, collegata all’azienda di orologeria che portava il suo stesso nome). Ma chiusa la finestra giudiziaria resta la sensazione che l’’assoluzione’ di Trump sia l’ultimo capitolo di una storia figlia dell’ultimo scampolo del Novecento, quello forse con il turbo della spregiudicatezza più potente, che riporta alla ribalta della cronaca un personaggio controverso, discusso, invidiato, odiato e soprattutto amato da bellezze mozzafiato come (in ordine sparso) Beatrice Borromeo, Manuela Arcuri, Martina Stella, Anna Falchi, Claudia Galanti e Luisa Corna.
La Firenze che ci riporta a galla il nome di Buti è una città distante anni luce da quella fiacca e anonima di oggi. Una vibrante Ave Maria laica in grado di spaziare dalle corse alla bandierina di Batistuta (quando la Fiorentina era sinonimo di cardiopalmi e spalti frenetici e non di depressioni silenziose come oggi) alle giacche e cravatte al portone dello Yab, dai tic tac dei tacchi a spillo sui lungarni – così diversi dal rullo dei trolley in direzione AirBnb – alle file di fiorentini fuori dal cinema Adriano impazienti di vedere le ballerine spagnole dell’allora ’Ciclone’ Pieraccioni. L’ultima Firenze che ha provato a osare qualcosa prima di alzare le mani e arrendersi alla rendita più . Intendiamoci, non è induzione alla nostalgia. Semplici graffiti, piuttosto.