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La morte di Menicucci. Giacchetta nera e fiorentino doc, ciao Gino senza peli sulla lingua

Personaggio non solo sui campi. La tribolata vicenda giudiziaria / Giovedì 22 i funerali

Gino Menicucci

Firenze, 21 ottobre 2015 - TRIPLICE fischio dell’arbitro Menicucci. La partita con la vita è finita. Undici anni dopo una ‘banale’, ma maledetta operazione di ernia al disco eseguita col laser – che lo lasciò paralizzato a causa di una complicanza, un’infezione batterica – il popolarissimo Gino se ne è andato, a 77 anni. Un calvario reso più atroce da una estenuante battaglia giudiziaria condotta con l’instancabile figlio Simone e l’avvocato Giampaolo Pacini, purtroppo fino a un doppio no pronunciato dal Tribunale e dalla Corte d’Appello di Firenze: Menicucci si era rivolto ai giudici penali contro il consulente nominato dal giudice della causa precedente – in sede civile – avviata dall’ex arbitro per il riconoscimento della colpa medica e del danno permanente subito. Afferma il consulente che Menicucci contrasse il batterio che lo mandò in setticemia non in sala operatoria, a Villa Cherubini, ma una decina di giorni più tardi. Consulenza onesta o infedele? Il punto è un altro: per i giudici fiorentini poteva semmai essere il giudice a volersi ‘rivalere’ sul perito. E non Menicucci. Parola definitiva alla Cassazione, udienza a inizio novembre; il cuore di Gino ha ceduto prima. Scompare un fiorentino doc, solo incidentalmente nato a Parigi, ironia e vis polemica, lingua tagliente, pane al pane, vino al vino. Da ‘grande’, quando smessa la giacchetta nera faceva l’opinionista televisivo (‘Il Processo del lunedi’ e ‘Il processo di Biscardi’) e anche l’ opinionista de La Nazione. Ma anche da fischietto con personalità – mica come tanti suoi colleghi di oggi – al cospetto di giocatori che gli avrebbero fatto la pelle lì, sul rettangolo verde. Giocatori, tecnici. E giornalisti: a Giorgio Bubba, cronista della Rai che lo stuzzicava all’ingresso in campo a Marassi disse ‘sei brutto’. Così, da toscanaccio col sorriso sulle labbra.

SE LA VIDE un po’ brutta una volta a Roma, la Lazio schiumava rabbia per l’arbitraggio di Gino, un terzinaccio ‘vaffò’ un guardalinee. Menicucci sventolò il rosso in faccia al difensore, a momenti veniva giù l’Olimpico. «L’ha offeso», si capì dal labiale dell’arbitro al capitano biancoceleste. 130 presenze in A dal ’72 all’84, impreziosite dalla qualifica di internazionale (’81). Non moltissime le «classiche» dirette: il suo metro di giudizio, non opportunistico e calcolatore non lo rendeva granché gradito alle Grandi, le strisciate. In carriera anche un proscioglimento in istruttoria da una vicenda di Totonero e l’inchiesta che Menicucci fece aprire a carico del Foggia, nel ’74. Un dirigente pugliese regalò orologi alla terna prima di Foggia-Milan: rifiuto, la ‘pratica’ finì all’ufficio-inchieste e al giudice sportivo.

 

GINO e l’Oltrarno, via Guicciardini e piazza Pitti: il «regno» di Gino, con il suo negozio di giocattoli quasi immaginifico tanto era attraente e tanto erano belli quei sogni per bambini. Prima della brutta svolta, altri due (tra tanti) episodi significativi: Gino ripudiato dal suo mondo, sospeso poi escluso perché aveva ‘osato’ criticare i vertici calcistici per mancanza di trasparenza. Se non altro, nel 2011, i colleghi lo ‘riabilitarono’ restituendogli tessera di arbitro benemerito e Fiorino d’Argento. E’ invece del ’99 la partecipazione di Gino a «Lucignolo» di Ceccherini: interpretò il ruolo di un giudice. Proprio i giudici, ancora più dei medici gli hanno forse inferto il dolore più grande, ma vissuto con civile indignazione.

giovanni spano