REDAZIONE FIRENZE

La lettera A come allenamento

Quando un pianista fa il suo primo concerto, quanti anni di studi ha alle spalle? Quando un calciatore viene convocato per giocare nella nazionale, quanti anni ha alle spalle di partite e di allenamenti? Spesso invece, quando si tratta di scrivere un romanzo, si pensa che aver imparato a leggere a scrivere alle elementari sia sufficiente. Ma non è così.

Aver imparato a scrivere da bambino equivale, per un musicista, ad avere un pianoforte in casa, e per un calciatore ad aver comprato le scarpe adatte. È vero, ogni tanto nasce un genio come Leopardi, già "maturo" di natura, ma di solito per maturare nella scrittura ci vogliono diversi anni. Quanti? Be’, non c’è una regola, dipende dalla persona. "Allenamento": una parola fondamentale per chi vuole scrivere romanzi. Rileggersi e correggersi, farsi leggere dagli altri e accettare le critiche, confrontarsi. Certo, scrivere anni e anni senza risultati editoriali e continuare con la stessa passione significa avere la necessità di farlo. Ma solo le persone che non possono fare a meno di scrivere, alla fine riusciranno a ottenere dei risultati che durano nel tempo, e non solo un fuoco di paglia, che può accadere a tutti, magari cavalcando un argomento attuale. L’allenamento serve a sviluppare lo spirito critico nei confronti del proprio lavoro. Bisogna riuscire a diventare "lettori di sé stessi", mettere tra il nostro sguardo e ciò che abbiamo scritto la distanza giusta per saperlo giudicare e criticare. E questo non si può ottenere obbedendo a una teoria, ma può avvenire unicamente con l’allenamento, con i tentativi, le delusioni, sanguinando per le critiche, e andando avanti con tenacia, guidati dalla passione, da una misteriosa necessità di scrivere. Se quella passione non c’è, non succede nulla. Una volta ho sentito dire da un ragazzo: "Ho scritto la sinossi di un romanzo, la sto mandando gli editori, se mi fanno un contratto poi lo scrivo". Ecco, questo ragazzo non è uno scrittore, non lo diventerà mai, non ha necessità di scrivere. E non ha capito che un vero editore non compra la storia, ma la scrittura, la musica delle parole, lo sguardo sul mondo. Comunque sia, chi è affetto dal disturbo della scrittura tiene separate le due fasi: la scrittura è il massimo del piacere, qualcosa di inevitabile. La pubblicazione è un gioco successivo, un mondo diverso che non deve inquinare il momento della scrittura, capace da sola di procurare grande soddisfazione e addirittura di dare un senso alla vita.