REDAZIONE FIRENZE

Il marchese ’contadino’: "La campagna mi rilassa. Firenze all’inizio uno choc. Carlo III? Un caro amico"

Il nobile fiorentino, figlio di Vittorio e Bona, si racconta senza filtri "Mia moglie Eleonora è un maresciallo, non dà nulla per scontato". Tre figli (tra un mese sarà anche nonno) e "nessun rimpianto".

Il nobile fiorentino, figlio di Vittorio e Bona, si racconta senza filtri "Mia moglie Eleonora è un maresciallo, non dà nulla per scontato". Tre figli (tra un mese sarà anche nonno) e "nessun rimpianto".

Il nobile fiorentino, figlio di Vittorio e Bona, si racconta senza filtri "Mia moglie Eleonora è un maresciallo, non dà nulla per scontato". Tre figli (tra un mese sarà anche nonno) e "nessun rimpianto".

di Antonio Passanese

Lamberto Frescobaldi appartiene a una delle famiglie più antiche e prestigiose di Firenze, ma come il padre Vittorio prima di lui, è una persona semplice, concreta, innamorata delle sue radici. Tre figli – Vittorio, Leonia, che presto lo renderà nonno, e Carlo –, la moglie Eleonora Boetani Nesi ("che è un maresciallo e non dà nulla per scontato"), e una vita costruita tra vigne, colline e memoria. Cresciuto in campagna, tra filari e valori solidi, Lamberto Frescobaldi, attuale presidente dell’Unione Italiana Vini, ha scelto di portare avanti la tradizione di famiglia con lo stesso rigore ricevuto in eredità, ma senza mai smettere di guardare al futuro. Parla volentieri della passione per il vino, ma anche di libri, tempo libero e piccole cose. E con discrezione accenna anche all’amicizia con i reali d’Inghilterra, vissuta sempre con quel senso di misura che lo contraddistingue. Un uomo che ha saputo restare se stesso, anche quando il cognome che porta avrebbe potuto suggerire tutt’altro.

Qual è il libro che tiene sempre sul comodino o quello che ha riletto più volte nella vita?

"Non rileggo mai libri che già conosco. Ma quelli che tengo sul comodino hanno tutti a che fare con la storia. Testi tratti da cose realmente accadute. Idem per i film".

Ha mai avuto il desiderio di fare un mestiere diverso da quello che la vita familiare l’ha portata a scegliere?

"No. Ricordo che alle medie, frequentate al Machiavelli di piazza Pitti, il mio desiderio era già quello di andare a studiare Agraria. Ho avuto la fortuna di crescere in campagna, tra Pontassieve e Pelago, in una casa in cui c’era il frantoio, la cantina con le botti, gli animali, e vedere che il prodotto della terra poteva trasformarsi in qualcosa di commestibile e gradevole, lo trovai bellissimo. In quegli anni, siamo a cavallo tra il Sessanta e il Settanta, già avevo ben chiaro quale sarebbe stato il mio futuro".

Cosa rappresenta per lei Firenze oggi? E com’era la città dei suoi ricordi d’infanzia?

"Mi sono trasferito a Firenze nel 1975, avevo 12 anni, e ricordo che ebbi uno choc. Venendo dalla campagna – pensi che non avevamo neanche le chiavi di casa – per abitare in città dove, anche per fare un giro in bici, avevo l’obbligo di chiedere il permesso ai miei genitori, fu una cosa terribile. Da giovane, a onor del vero, tra università e vacanze, ho vissuto poco la vita fiorentina. Mi sentivo un viandante, ero sempre di passaggio. Ora invece devo dire che l’apprezzo molto. Soprattutto quando attraverso l’Arno da Ponte Santa Trinita – che tra l’altro è lì dove il mio antenato Lamberto, nel 1252, fece costruire quello originale, il primo, penso: caspita, quanto è bella questa città".

Quando non lavora come ama trascorrere il suo tempo? Ha un hobby a cui non rinuncerebbe mai?

"A me son sempre piaciuti i motori, i cavalli vapore. Fin da bambino ho imparato a guidare qualsiasi mezzo ci fosse in campagna. E ancora oggi mi diletto ad andare in moto da Enduro con due gruppi di persone: si tratta di amici che coltivano la stessa passione. Con loro mi sento allegro, spensierato. E la moto mi diverte, anche se ogni tanto mi faccio anche un po’ male".

A parte il luogo in cui è cresciuto e di cui ha parlato, c’è un altro posto in Toscana lontani dai riflettori che sente particolarmente suo?

"No a dire la verità. Forse d’estate, e da adulto, a Forte dei Marmi, città in cui la mia adorata moglie Eleonora ha casa. Ma lì mi sento fuori contesto. Io amo la campagna, il bosco, i trattori, la terra, la vigna, gli uliveti".

Come è nata l’amicizia con i reali inglesi e che rapporto ha con Carlo III?

"Nasce attraverso mia madre Bona, amica di una delle sorelle del principe Carlo. Un’amicizia che si è consolidata poi con un viaggio che l’attuale re fece in Italia nell’aprile del 1986. Spesso sono da lui, come quest’anno: mi ha invitato in un’azienda nelle campagne del Galles e abbiamo chiacchierato molto. Poi l’ho rivisto al Quirinale, quando è venuto in visita ufficiale. Posso raccontarle un aneddoto?".

Certo, dica...

"Nel 1986 i miei genitori Vittorio e Bona, a Nipozzano, gli fecero piantare un olivo, a mano. E da allora, a Natale, gli inviamo una bottiglia di Laudemio, prodotto con le olive raccolte dal suo albero".

Cosa le piacerebbe lasciare ai suoi figli e alle generazioni future della sua famiglia, al di là delle vigne?

"Il senso del dovere e del lavoro. Di non dare nulla per scontato e poi tanto spirito di abnegazione. Il mio mantra, che poi è quello che ho trasmesso ai miei figli è: non ti cullar di quello che hai ricevuto perché tutto passa prestissimo".

Infine, ha qualche rammarico?

"Nessun rammarico. Alcune volte i miei figli, durante la crescita, mi ha detto: ’Babbo, ti abbiamo visto poco’. Ma io non ero a divertirmi, ero a lavorare. E ora che sono diventati grandi si rendono conto che ci son delle cose che devono essere fatte. Il compiacimento da persona arrivata mi fa orrore, non lo sopporto. Per questo non mi guardo mai indietro ma vado avanti, dritto verso il futuro".