
Il «cubo» bianco e nero che svetta in cima al palazzo ultramoderno costruito al posto dell’ex teatro comunale in pieno centro a Firenze
di Pietro Mecarozzi e Antonio Passanese
"Cubo nero", lo hanno soprannominato i residenti. È l’ultimo sfregio a Firenze: un complesso residenziale di lusso di colore ottone brunito sorto al posto del vecchio teatro Comunale, storico edificio dentro l’area Unesco. Ai cittadini non piace. A storici e urbanisti nemmeno. Ma oltre a stravolgere lo skyline e far deflagrare una polemica sulla questione estetica, da ieri sul caso ex Comunale sono finite anche le attenzioni degli inquirenti. La procura di Firenze ha aperto un fascicolo d’inchiesta esplorativo senza indagati per accertare se sussistano reati. Secondo quanto emerge gli investigatori stanno raccogliendo elementi informativi per verificare eventuali violazioni alle norme edilizie e urbanistiche ma non solo. Saranno acquisiti documenti che riguardano il permesso a costruire e le autorizzazioni di natura paesaggistica e culturale rilasciate. Nel mirino anche la ’genesi’ burocratica che ha dato via al cantiere e soprattutto alla demolizione dell’ex teatro. Si tratta di atti spalmati in circa dieci anni e firmati da tre amministrazuoni (guidate da Renzi, Nardella e Funaro) e altrettanti soprintendenti.
Si poteva ricostruire? Secondo le autorizzazioni di Comune, Regione, Commissione Paesaggistica e Soprintendenza sì. Ma quantomeno l’estetica cozza palesemente con i palazzi ottocenteschi della zona. Ora, però, anche il ministero della Cultura vuole vederci chiaro. E ha chiesto alla Soprintendenza una relazione urgente. Mentre le opposizioni a Palazzo Vecchio hanno ottenuto una riunione urgente della commissione urbanistica (il 3 settembre), minacciando un’inchiesta consiliare.
La storia del cubo nero è anche la storia di una lunga transizione, economica e politica, che ha trasformato un’area pubblica in un investimento privato dal valore milionario. Un percorso iniziato nel 2013, quando l’allora sindaco Matteo Renzi (già sull’uscio di Palazzo Chigi) decise di vendere l’immobile di Corso Italia a Cassa Depositi e Prestiti per 23 milioni di euro dopo tre aste deserte. Fu una cessione controversa: il Comunale era chiuso da qualche anno (l’attività lirica si era trasferita al nuovo Teatro dell’Opera) ma la vendita suscitò comunque polemiche tra chi vedeva in quel passaggio una perdita simbolica per la città. L’operazione venne comunque chiusa con la motivazione di destinare l’area a una trasformazione urbana residenziale, compatibile con l’ambiente circostante e con un impatto architettonico contenuto.
Nel 2019, Cdp vende il complesso all’investitore internazionale Hines per 27 milioni di euro. In sei anni, il valore dell’area era già salito di 4 milioni. Ma solo successivamente il progetto iniziò a prendere forma: non solo residenze, ma anche un albergo di lusso e appartamenti destinati al turismo. Uno switch reso possibile dalla variante urbanistica approvata dalla maggioranza dell’attuale Consiglio comunale, che modifica la destinazione d’uso. Ma è nel 2020 che, stando alle autorizzazioni e prescrizioni della Soprintendenza, arriva il via libera al progetto non senza ancora molti punti interrogativi sull’utilizzo di colori e materiali. Il risultato del progetto di Hines, oggi, è sotto gli occhi di tutti. Contro quella ferita architettonica in area Unesco si sono scagliati archistar come Massimiliano Fuksas ("Politica sparita, ormai comandano le società immobiliari") e filosofi dell’estetica come Sergio Givone, già assessore: "Uno sfregio a Firenze, quella torre andrebbe abbattuta".