REDAZIONE FIRENZE

I soldi dell’ex boss e i tempi del riciclaggio

Le motivazioni con le quali la Cassazione dispone un nuovo processo per l’ex cognato di Felice Maniero condannato a 4 anni

C’è un prima e c’è un dopo nella gestione dei soldi da parte di Felice Maniero, ex boss della Mala del Brenta e di conseguenza anche del suo rapporto con il cognato Riccardo Di Cicco, 64enne dentista di Fucecchio, condannato per riciclaggio di denari di Felicetto tramite investimenti immobiliari e operazioni finanziarie in Svizzera. Come aveva lamentato la difesa di Di Cicco (avvocato Giulio Venturi del foro di Pisa) nel ricorso ai giudici di Cassazione. C’è quindi un periodo terminato prima che Faccia d’Angelo manifestasse la sua prima opzione collaborativa con gli inquirenti (1994).

E un secondo fatto, 11 miliardi di lire affidati al Di Cicco, "ben dopo la scelta collaborativa – si legge nelle motivazioni con cui gli ermellini, dispongono un nuovo processo d’appello – e destinate a nuovi investimenti soprattutto mobiliari (confessi anche da Di Cicco), caratterizzati da facile e pronta possibilità di retrocessione più difficilmente tracciabile". Si è dunque trattato, rileva la corte di legittimità, di almeno due distinte determinazioni, separate da un consistente lasso temporale e sostenute da funzioni diverse. Secondo i giudici quindi c’è un primo periodo in cui Felice Maniero non poteva immaginare per sé un futuro, a breve termine, da uomo libero. E un secondo mosso da nuovi intenti ed avente ad oggetto una diversa (residua) provvista, formata, secondo quanto afferma lo stesso Maniero, da diversi reati-fonte. Da qui la valutazione che non si sarebbe trattato di un unico affidamento fiduciario, seguito da una frazionata modalità di investimento (reato unico a consumazione prolungata ed evento frazionato), "quanto piuttosto di più successivi affidamenti, separati dalla scelta collaborativa, dalla funzione affidata al riciclatore e dalla stessa natura del reato-fonte".

La Cassazione chiede nuovi e diversi percorsi logici ad eventuale supporto della motivazione che ha stimato continuità ininterrotta in un fatto unico, non esauritosi, come ritenuto dal primo giudice, nel luglio del 1997. Perché diverse sarebbero state le metodologie di riciclaggio operate, anche secondo l’accusa, prima e dopo il 1995, con prevalenza di investimenti immobiliari prima e prevalenza di investimenti nei circuiti finanziari dopo. A questo processo è legato anche il futuro di una confisca importante opertata a carico del Di Cicco, che in appello fu condannato a 4 anni di reclusione e 10mila euro di multa: quella della villa di Santa Croce. Confisca che non è, a questo punto definitiva, avendo aperto la Cassazione, un varco alla difesa anche su questo fronte – oltre che in termini di pena – con il nuovo processo d’appello.

Carlo Baroni