OLGA MUGNAINI
Cronaca

I giochi in cantiere poi la fuga: "Amo San Niccolò, odio l’auto. Firenze ingenerosa coi giovani"

L’uomo che sta ridisegnando la città tra vita privata, amore per la nautica e valigia in mano "Incontrai Michelucci, sto scrivendo un libro gramsciano: architettura non è solo cemento".

L’uomo che sta ridisegnando la città tra vita privata, amore per la nautica e valigia in mano "Incontrai Michelucci, sto scrivendo un libro gramsciano: architettura non è solo cemento".

L’uomo che sta ridisegnando la città tra vita privata, amore per la nautica e valigia in mano "Incontrai Michelucci, sto scrivendo un libro gramsciano: architettura non è solo cemento".

"Quando ero un bambino, mio padre si stava costruendo la casa a Bagno a Ripoli. E io, che avevo più o meno cinque anni, ero sempre in mezzo, perché mi divertivo a giocare al muratore. Passavo intere giornate affascinato nel cantiere fra le cazzuole e il cemento". In mezzo a quei mattoni germoglia il seme dell’archistar, parola che Marco Casamonti, classe 1965, non ama. Ma che riassume bene la sua carriera di successo fra progetti davvero immaginifici, ormai in tutte le parti del mondo. Nel suo studio Archea Associati, che occupa mezzo quartiere di San Niccolò, lavorano più di 250 architetti. A progetti di ogni tipo: stadi, aeroporti, ponti, palazzi, cantine, fabbriche, scuole. Ora è la volta del design. Innamorato della nautica, Casamonti si è messo a studiare la costruzione delle barche e il risultato è che ha appena vinto l’International Superyacht Awards 2025, con lo yacht AB 110, potente e tecnologico, ma bello ed elegante come l’attico di un grattacielo milanese.

Casamonti, il bambino che giocava al muratore, come è diventato l’architetto di oggi? "Mi sono iscritto alla facoltà di Architettura di Firenze e ho avuto la fortuna di studiare con alcuni architetti straordinari: Adolfo Natalini; Loris Macci con cui mi sono laureato nel 1990; Aurelio Cortesi, con cui poi ho iniziato la mia carriera universitaria da assistente, diventando in seguito uno dei professori ordinari più giovani. Tutt’ora insegno progettazione architettonica e urbana all’università di Genova, dove vado tutte le settimane. Un impegno a tempo parziale che mi costa molta fatica, ma che non voglio abbandonare".

Lei è un fiorentino doc, ama la sua città ma è sempre con la valigia in mano. "Ho seguito il consiglio che mi diede tanti anni fa il grande designer Andrea Branzi, che mi disse: un architetto deve viaggiare, girare il mondo per conoscere il lavoro degli altri. Deve essere curioso. E così ho fatto".

A proposito di mondo: lei ha lavorato molto più all’estero che a Firenze. Perché? "Sì, rispetto alla nostra produzione a Firenze abbiamo fatto pochissimo. Forse proprio perché ho dedicato il tempo a viaggiare tanto. Negli ultimi anni però abbiamo dedicato più attenzione, dal Viola Park alla Cantina Antinori alla fabbrica di Ferragamo... Adesso lavoriamo sull’aeroporto. Intanto stiamo realizzando quello di Tirana, ma sono fiducioso anche per il nostro. La verità è che facciamo ‘grandi’ progetti, e che abbiamo bisogno di grandi spazi per esprimerci, che Firenze non ha".

Eppure lei rivendica il suo essere fiorentino. "Certo. Chi nasce qui è una persona fortunata. Leon Battista Alberti diceva che chi vive a a Firenze ha le ‘seste’ negli occhi. Ossia ha il senso delle proporzioni rinascimentali, non perché le ha studiate ma respirate. Se poi uno fa l’architetto è debitore ancora di più alla città".

Però architettura moderna a Firenze ce n’è pochina. "È vero, dal Dopoguerra ad oggi i grandi architetti internazionali non sono riusciti a realizzare i loro progetti, basti ricordare la Loggia di Isozaki o l’hotel di Jean Nouvel. Probabilmente il peso del passato è così forte da far soffrire tutti i contemporanei. Però per quanto mi riguarda sono ottimista".

Per quale motivo? "Ho la fortuna di lavorare a due opere imporranti: la scuola Ghiberti a Legnaia, un progetto da 30 milioni per la Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze; e lo stadio Padovani del rugby col cantiere che inizierà a settembre. E anche un piccolo edificio in viale Europa che sarà una sede dell’Asl. Quindi, devo dire che adesso ho un bel rapporto con la città. Quando ero giovane, tutto sommato sono io che sono scappato all’estero per lavorare. Pensandoci, possiamo dire che questa non è una città generosa con i giovani, ha bisogno di ‘maturità".

A chi si sente di dire grazie? "A un sacco di persone. A cominciare da mio padre Roberto, gallerista, che mi ha fatto conoscere i più importanti artisti italiani e stranieri del XX secolo. E poi ai miei committenti, da Piero Antinori a Ferragamo, perché da loro ho imparato tantissimo. E non si smette mai. Quando ero giovanissimo sono andato da Giovanni Michelucci, che aveva 99 anni, e lui a quell’età mi ha detto: ho ancora tante cose da imparare!"

Lei vive in San Niccolò, dove c’è il quartier generale di Archea. Non le piacerebbe una villa, magari sul viale dei Colli? "No, qui ho ancora il fornaio e il fruttivendolo. Scendo di casa e posso prendere un caffè. Io voglio andare a lavorare a piedi, perché la macchina è una prigione. Qui invece sono casa e bottega, come gli artigiani di un tempo. Perché un architetto è un artigiano, come nel Rinascimento".

E quando non fa l’architetto a cosa si dedica? "Io faccio sempre l’architetto, anche quando dormo, perché mi tornano in mente cose che ho visto, elaboro, immagino...Adesso sto scrivendo un libro gramsciano, ma sempre di architettura".

Gramsciano nel senso di Antonio Gramsci? "Sì, nazionalpopolare, nel senso di parlare alle masse. Perché non ci si deve chiudere in una torre d’avorio, ma spiegare alle persone quanto sia importante l’architettura. Nei decenni scorsi si è costruito talmente male che la gente ha paura e subito grida alla cementificazione. E invece la buona architettura serve eccome per il nostro futuro".

Finiamo con la Fiorentina, da tifoso. "Rocco Commisso ha un progetto di lungo respiro, altrimenti non avrebbe speso 220 milioni nel Viola Park. Io gli sarò sempre grato, perché un giorno ha suonato il campanello e ha detto: voglio fare un grande centro sportivo e lo stadio. E io ho fatto il progetto per tutti e due, anche se poi lo stadio non è andato in porto. Quindi io credo che Commisso creda nella Fiorentina e lavori per regalarci una grande squadra. Serve tempo".