REDAZIONE FIRENZE

Fuggire, ritornare. La fatica di crescere

Che significano i luoghi che scegliamo di abitare? Ma, soprattutto, che significano i luoghi che decidiamo di lasciare? Mina ha...

Che significano i luoghi che scegliamo di abitare? Ma, soprattutto, che significano i luoghi che decidiamo di lasciare? Mina ha...

Che significano i luoghi che scegliamo di abitare? Ma, soprattutto, che significano i luoghi che decidiamo di lasciare? Mina ha...

Che significano i luoghi che scegliamo di abitare? Ma, soprattutto, che significano i luoghi che decidiamo di lasciare? Mina ha 30 anni, padre marocchino e mamma italiana, e vive da tempo a Londra, dopo aver lasciato la Calabria alla ricerca di sé stessa. Ma la vita che lei si è a fatica costruita in Inghilterra viene interrotta da una telefonata: il padre Omar è morto e lei deve tornare per il funerale. Ed è proprio il ritorno a casa che innesca un dilaniante interiore: Mina capisce che da lì non è mai andata via. Difficile da accettare: aver sprecato anni a inseguire una chimera per poi realizzare di non aver superato il passato e non sapere cosa volere dal futuro. Da adolescente Mina sentiva "l’ingombro di un corpo sbagliato, formoso e bitorzoluto", nascosto sotto vestiti larghi e neri come un sacco della spazzatura. Per questo la scelta di andare via, per trovarsi. Ma la vita può prendere direzioni inaspettate. Mina (come ha fatto Emanuela che vive a Roma, dove lavora nel campo dell’editoria) affronta le sue paure. E quello che aveva relegato in un angolo nascosto dentro di sé la costringerà a fare i conti con il proprio passato e a cambiare i suoi progetti. A casa l’assalgono anche i ricordi della nonna partigiana con i suoi insegnamenti. Mina racconta di sé, ma il libro è anche una lunga lettera al padre morto, quel dialogo che quando lui era vivo non erano riusciti ad avere.

In questo straordinario e molto maturo esordio, Emanuela Anechoum (si pronuncia: Ánescium) ci parla di legami di famiglia, di identità e di quel faticoso viaggio che significa crescere. Ed è per questo che le pagine più belle sono quelle in cui Mina immagina Omar, suo padre, bambino, poi adolescente quindi giovane uomo che si mette in mare, come fanno migliaia di profughi, con in tasca un sogno chiamato futuro. Più che la sua storia il libro evoca la storia di Omar e la complessità del loro rapporto, fatto di silenzi, incomprensioni, affetto represso. Costretta a tornare in Calabria, dovrà abituarsi di nuovo a quello spazio che aveva lasciato, dovrà fare i conti con la versione precedente di sé che aveva abbandonato (ma l’aveva poi abbandonata davvero?). "Non farti mai convincere che l’essenziale sia qualcosa di accessibile solo ad alcuni – l’ammoniva la nonna -. Non credere a chi ti dice che l’ambizione è desiderare di entrare nella classe degli eletti. Diventa chi sei, è quella l’unica ambizione". Ma come si diventa ciò che si è?

Emanuela Anechoum Tangerinn e/o