TERESA SCARCELLA
Cronaca

Il caso dell’ex teatro Comunale, dal piano di recupero alla vendita: ecco che cosa è successo

Giallo sulla decisione di non attivare la Valutazione ambientale strategica. Il rendering del 2018 con colori e materiali differenti. Poi il nuovo progetto

Il caso dell’ex teatro Comunale, dal piano di recupero alla vendita: ecco che cosa è successo

Firenze, 22 agosto 2025 – Da teatro ottocentesco a complesso residenziale e ricettivo di lusso con una texture bianconera. È la sintesi dell’evoluzione dell’ex teatro comunale, iniziata di fatto con la demolizione dell’edificio e culminata con la struttura super moderna oggi al centro di polemiche, ’rea’ di aver stravolto lo skyline della città. Ma come si è arrivati a questo? Proviamo a ricostruire sulla base delle delibere comunali, pubblicate fino al 2018. Dopodiché, sull’approvazione del progetto ultimo, che è quello che oggi vediamo, gli incartamenti non sono pubblici. Nel frattempo ecco le tappe salienti.

La torre nera si staglia su Corso Italia e il fiume Arno
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E’ il 2008 quando la giunta avvia l’iter per il cambio di destinazione urbanistica del teatro. L’immobile è destinato ad essere dismesso, visto il trasferimento del Maggio ai piedi delle Cascine (rispetto all’articolo di oggi non era il Maggio ad avere fretta di vendere, ndr), e venduto. La riqualificazione doveva partire da qui. L’atto di vendita è del 2013. Il sindaco è Matteo Renzi che di lì a poco diventerà primo ministro. Il teatro è già andato all’asta per tre volte (base fissata a 44 milioni, poi a 35 e a 26), e per tre volte è andata deserta. Così, a pochi giorni da Natale, il consiglio comunale delibera di alienare il bene a favore di un fondo gestito da Cassa depositi e prestiti per 23milioni di euro. A questo punto può partire il piano di recupero. Le ipotesi valutate in fase di indirizzo sono varie: residenziale o un mix con una parte ricettiva e un pizzico di terziario. Basta che «la superficie utile lorda non superi i 18mila mq - si legge nella delibera di Giunta del 26 marzo, alla quale è allegata una bozza di ipotesi - i manufatti che sostituiranno la torre scenica non abbiano altezza in gronda superiore all’esistente».

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L’indicazione è di conservare il foyer magari «destinandolo a pubblico esercizio», così come la platea che può diventare «corte interna o giardino, piazza alberata». Il tutto prestando attenzione trattandosi di zona vincolata. Principio ribadito anche dalla soprintendente Alessandra Marino che, nel 2015 in fase di incontro tecnico preliminare, raccomanda «la tutela della facciata storica, vincolata» e chiede che venga riconsiderata «l’eccessiva e uniforme altezza dei nuovi edifici» che non devono superare la torre scenica (30 metri), semmai raggiungerla solo in quel punto; raccomanda poi «particolare attenzione nella scelta della pietra» per gli esterni e invita ad evitare «angoli smussati e fortemente scavati». Aggiustamenti che vengono recepiti. A luglio 2016, in merito al vincolo di tutela della facciata e al vincolo paesaggistico, la soprintendenza - nel frattempo è subentrato Andrea Pessina alla guida - dà parere favorevole.

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Ma cosa prevede il piano? La demolizione del teatro e dei corpi accessori, fatta salva la facciata principale, la ricostruzione di tre edifici: uno di 8 piani, gli altri su 7. A vocazione perlopiù residenziale (per il 95%) e con attività private di servizio (il 5%), quindi «abitazioni, con servizi comuni e commerciali al piano terra, nonché 10 villini indipendenti», al centro una piazza interna. «Il progetto si inserisce organicamente nel tessuto – si legge nel verbale del 2016 della Conferenza di servizi regionale paesaggistica – risulta coerente con la salvaguardia delle visuali panoramiche, in quanto prevede il raggiungimento della massima altezza (29,7) per i soli volumi corrispondente all’attuale torre scenica». Così, ad agosto, viene avviata la verifica di assoggettabilità a Vas (valutazione ambientale strategica) e due mesi dopo, raccolti i pareri in conferenza di servizi, si arriva alla conclusione che «non risulta necessaria», in quanto «non emergono possibili impatti significativi». La Soprintendenza è d’accordo. A febbraio 2017, la conferenza dei servizi paesaggistica fa notare l’assenza di «indicazioni su materiali e tecnologie da utilizzare». Nel piano di recupero di Archea dell’architetto Casamonti nel settembre 2018 vengono inserite (come da rendering centrale qui accanto): rivestimenti con pietra Santa Fiora, Travertini e Pietra Serena; intonaci dal giallo sabbia al bianco crema; infissi in metallo, con finiture in corten, ottoni e bronzi, e in legno. Il piano vede la luce: a fine settembre 2018 l’adozione, al 31 dicembre l’ok della giunta. E fin qui tutto bene. Poi con la vendita e il nuovo progetto architettonico colori e materiali cambiano rispetto al piano di recupero ma, al momento, non siamo in possesso di documenti che raccontino l’iter che, necessariamente, deve essere ripassato per l’ok della Soprintendenza. A marzo 2020 infatti Cdp vende (il Sole 24 ore riportò 27 milioni), alla joint venture tra Blue Noble e Hines, tramite il fondo immobiliare ’Future Living’. Lo stesso fondo che a settembre 2024 chiede al comune di mantenere la destinazione d’uso “case e appartamenti per vacanze“ come da domanda di permesso a costruire in variante del giugno 2023. Due anni di lavori per il mega complesso di lusso, firmato dall’architetto Vittorio Grassi insieme a Genius Loci, prossimo all’apertura: 150 appartamenti per il breve e medio periodo gestiti da Starhotels e 30 in vendita. Ciò che ad oggi non si spiega, è come si è arrivati ai colori e materiali della discordia.