REDAZIONE FIRENZE

Elvis, il re del rock al Verdi: "Più di un semplice tributo"

Scritto e diretto da Maurizio Colombi, lo spettacolo è in scena oggi e domani

Elvis, il re del rock al Verdi: "Più di un semplice tributo"

Ci sarà sempre un Elvis Presley per ogni epoca. È quella scia luminosa che dagli anni ’50 in poi non ha mai smesso di brillare a suon di rock ‘n’ roll e che lo ha consacrato a icona mondiale. "E poco importa se sei ’beatlesiano’ o ’elvisiano’. Con Elvis non è che ti innamoravi solo della musica, ti colpiva lui, lo stile, il modo di essere e di atteggiarsi che è diventato universale". A dirlo è Maurizio Colombi, regista di ’Elvis il musical. An amazing rock ‘n’ roll show’, in scena al Verdi oggi (ore 20,45) e domani (ore 16,45). "Senza di lui artisti come Michael Jackson, Freddie Mercury, i Rolling Stones non sarebbero esistiti" sostiene.

Come mai proprio Elvis come protagonista del suo musical?

"A 13 anni mio padre mi regalò uno dei primi album di Elvis. Ricordo che ascoltai ’Tutti frutti’ e rimasi incantato dalla sua voce, mi innamorai dell’immagine sull’album. Poi mi resi conto che la sua non era stata solo fortuna. Elvis era uno che studiava la musica, aveva un intuito formidabile per le performance. Il suo ritorno nel ’68 nello special tv fu clamoroso".

C’è un filo conduttore nel musical?

"C’è e ci tengo a sottolineare che questo non è un tributo al cantante. È impostato come una vera e propria commedia dell’arte dove una quindicina di performer, che si scambiano anche i ruoli, con una band dal vivo interpretano tutta la vita di Elvis, a cominciare da quando a 12 anni non riuscì a vincere un concorso".

Ci sono voluti tre Elvis insomma?

"Sì anche se l’Elvis bambino in realtà è una bambina che mi aveva colpito perché l’avevo vista con il cappello ed era identica a lui. Poi c’è l’Elvis giovane che si muove con la chitarra elettrica, anche quello più difficile da trovare e poi interpretare è stato proprio l’Elvis adulto".

Però un pezzettino di tributo ci sarà?

"È il momento in cui la band entra in primo piano e mette in scena il concerto del ’72 a Las Vegas. È allora che tutta la platea si alza per ballare per un quarto d’ora. Ma non è la parte finale. Perché poi quando finisce si ritorna alla recitazione e si finisce con parte più toccante che è quella degli ultimi giorni del cantante".

Emerge anche l’aspetto più legato al business che poi forse è quello che lo ha portato a quella fine?

"Sì e lo mettiamo in evidenza verso la fine. Elvis era uno che era arrivato a fare addirittura tre concerti al giorno e anche così non gli bastava mai".

Qual è il momento più significativo?

"Quello in cui alla fine l’Elvis adulto parla al sé stesso giovane implorandolo di non continuare a prendere quelle pillole".

Ludovica Criscitiello