
Un giovane medico veneto nel 1991 diventa sacerdote di periferia, in contatto con ambienti sociali difficili. Finché il vescovo di Padova lo manda al Cuamm – Medici con l’Africa, l’associazione italiana che nel 2020 ha celebrato i suoi 40 anni di sostegno medico e formazione nel continente africano. Nel 1995, fa il suo primo viaggio nel Mozambico post guerra civile. È l’inizio dell’avventura personale, medica, umana e spirituale di don Dante Carraro che da anni con Cuamm, crea ospedali e gestisce centri sanitari, forma medici, ostetriche, infermieri e altre figure professionali locali, fa campagne di prevenzione. Martedì alle 18 in Sala D’Arme a Palazzo Vecchio col sindaco Dario Nardella e la direttrice della Nazione Agnese Pini presenterà "Quello che possiamo imparare in Africa", scritto dallo stesso don Dante con Paolo Di Paolo (Ed. Robinson).
Don Dante, è appena rientrato dal Sud Sudan. Com’è la situazione?
"E’ un paese in cerca di un’identità dopo l’indipendenza del 2011. Gli scontri civili tra etnie, le differenze della popolazione, impediscono un equilibrio. È una lastra di terra che galleggia in un mare di petrolio, con 12 milioni di persone e 24 milioni di vacche. Una potenziale ricchezza che diviene povertà se non è possibile portare l’oro nero verso il mare".
Le condizioni sanitarie?
"Quando abbiamo rimesso in funzione uno dei 5 ospedali che come Cuamm stiamo sostenendo, le 50 persone dello staff sanitario erano pastori. Abbiamo aperto due scuole di formazione. Oggi abbiamo anche 200 centri sanitari, 2000 persone locali formate, una settantina di europei e professionisti dei Paesi limitrofi".
Qual è la situazione Covid in terra sub sahariana?
"Ci sono 5 milioni di casi confermati e 200 mila decessi. Paiono irrisori su una popolazione di 1,3 miliardi. Ma in realtà i tamponi sono pochissimi, la capacità diagnostica davvero scarsa".
La campagna vaccinale?
"Stanno arrivando pochissime dosi: solo il 2-3% della popolazione è vaccinata, a fronte di 5 miliardi di dosi nel mondo e spesso accaparrate da Paesi ricchi che ne hanno oltre il fabbisogno. Eppure sarebbe fondamentale vaccinare queste popolazioni, anche per gli occidentali".
In che senso?
"In Africa si muore di Covid, ma anche indirettamente di altro. Non si va negli ospedali per paura del virus. Le puerpere partoriscono in casa, col rischio per loro e i neonati di morte o gravi danni. L’anno scorso abbiamo perso 2000 parti solo nella capitale della Sierra Leone. Sono aumentati i decessi del 25-30% per diabete, sieropositività, tubercolosi. Per non parlare dei bambini malnutriti. La paura del Covid fa morire di altro. Ma è importante vaccinare gli africani anche per noi: se il virus continua a circolare, diverrà più forte e muterà fino a non essere coperto dai vaccini".
Si risolve mandando più dosi?
"Non basta: per stoccarle bisogna avere contenitori refrigeranti. Dai grandi ospedali con i Pick-up vanno portati nei centri sanitari; da lì, con le motorette e gli zaini-frigo devono arrivare nei villaggi. Ci vogliono cotone, siringhe, tachipirina, sedie, tavoli, igienizzanti. Manca un’anagrafica. Ci vogliono persone formate e bisogna far capire l’importanza di vaccinarsi. Invece arrivano dosi irrisorie, spesso a breve scadenza, senza i mezzi per conservarli, trasportarli, inocularli. È una battaglia di cui non si parla, ma fondamenale".
Manuela Plastina