
Carlo Conti a 'L'eredità'
Firenze, 19 marzo 2016 - «Il problema più grosso? Secondo me è che non ci sono più, o sono pochissimi, i giovani che proseguono quello che è stato il lavoro dei nonni o dei genitori. Il lavoro a bottega, quello dell’artigianato. E’ sotto gli occhi di tutti: purtroppo oggi non è un’attrattiva per i ragazzi lavorare con le mani, e sporcarsele. E’ un tipo di attività che, e lo dico con molto dispiacere, tende a scomparire secondo me per questo motivo, non c’è più continuità».
Carlo Conti, che più fiorentino di così, innamorato e conoscitore della sua città non si può, ha una riflessione profonda sui negozi storici che chiudono.
Secondo lei Conti, una città cambia faccia per la mancanza di continuità di un mestiere?
«Anche, certo. Io sinceramente, più che la chiusura di un negozio singolo – per carità intendiamoci, mi dispiace moltissimo – o delle aperture di street food, che poi è cibo mangiato al volo, credo che il problema vero sia dietro, quello che non si vede».
E cioè ?
«Il grosso dei giovani non prosegue il lavoro di tradizione, non sono interessati all’arte del padre. E poi c’è anche un fatto importante, che fino a pochi anni fa era normale accadesse: la bottega artigiana era una scuola, i ragazzi andavano a fare gli apprendisti a Firenze».
Apprendistato in bottega?
«Sì, quella cosa che adesso non esiste più. Per i giovani della mia generazione era una cosa normale a imparare un mestiere. E lo facevano anche gratis, pur di stare vicino a un artigiano che poi alla fine era un vero artista. E questa frequentazione serviva a capire un lavoro, a sentirlo a conoscerlo dalle mani alla testa. E a volerlo mettere in pratica».
Secondo lei dove sono finiti quelli che imparavano?
« Non voglio allargare il discorso più di tanto, ma certi lavori oggi li fanno gli extracomunitari. Non credo che l’artigianato sia scomparso e che i kebab siano colpevoli: ci sono tantissimi turisti che vengono a Firenze perchè abbiamo sì le griffe, ma anche delle peculiarità nostre. Forse le giovani generazioni hanno troppo le spalle coperte e pochi stimoli».
Carlo Conti e l’artigianalità.
«Per me è una cosa importantissima, formativa: non a caso mi definisco artigiano dello spettacolo. Perchè è un lavoro che si fa col cuore oltre che con le mani e con la testa. In tutti i settori, non si scappa».