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Il mistero dell’autoritratto di Cellini: dubbi su colore e ritrovamento

Acquistato per 3200 euro avrebbe un valore di 107 milioni, ma per la procura di Verona non è originale. Uno dei pigmenti rinvenuti non era stato ancora sintetizzato nel ’500. La Cassazione conferma il sequestro

L’autoritratto di Cellini (foto della società proprietaria del quadro)

L’autoritratto di Cellini (foto della società proprietaria del quadro)

Firenze, 12 agosto 2025 – L’autoritratto di Benvenuto Cellini – scultore, orafo e scrittore fiorentino, considerato uno dei più importanti artisti del manierismo – presentato in pompa magna qualche anno fa al palazzo della Gran Guardia di Verona, sarebbe in realtà un falso. Il quadro, presentato come un capolavoro, aveva riscosso molto successo nel mondo dell’arte perché è l’unico ritratto del volto del celebre artista nato a Firenze nel 1500 realizzato per mano sua. Cellini vanta tra le sue opere più importanti la Saliera di Francesco I di Francia e la statua Perseo con la testa di Medusa, esposta nella Loggia dei Lanzi in piazza della Signoria.

L’autoritratto, olio su carta e tela di 61x58 centimetri, era stato svelato per la prima volta in Italia proprio a Verona nel 2021, in occasione dei 450 anni dalla nascita dell’artista. Lo scorso anno, però, la procura veronese ha aperto un’inchiesta dopo che la società proprietaria dell’opera ha presentato la richiesta dell’attestato di libera circolazione del quadro alla Soprintendenza. Nei guai sono finiti un veronese di 34 anni e un 59enne di origini russe, ora indagati per contraffazione di opere d’arte. Per gli inquirenti il quadro non sarebbe autentico: le indagini sono tutt’ora in corso e nel dicembre del 2024 è scattato il sequestro preventivo. E pochi giorni fa, confermando della decisione del tribunale del riesame, la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dai legali dei due indagati, confermando in via definitiva il sequestro.

Nella sentenza si legge che l’autoritratto sarebbe stato “falsamente attribuito a Cellini” e “modificata da ignoti nel XIX secolo, incollando sulla superficie del dipinto un pezzo di carta con la scritta “Tete d’Homme. Benvenuto Cellini””. Inoltre, secondo due distinte analisi tecniche svolte dalla Galleria degli Uffizi e dall’Opificio delle Pietre Dure, il dipinto “non è di epoca cinquecentesca, ma piuttosto ottocentesca”, e quindi non può essere attribuito alla mano di Cellini. In particolare, vengono considerate significative le indagini scientifiche che hanno rinvenuto nella tela “un pigmento – il cosiddetto ’blu di Prussia’ – ancora non esistente nel 1500”, ma sintetizzato solo “nei primi anni del 1700 e utilizzato a partire dei decenni successivi”.

Sospetti della procura anche sul primo acquisto dell’opera. Uno degli indagati avrebbe raccontato di averla trovata in una fiera a Fayence (Francia), mentre l’altro avrebbe spiegato di averla comprata a un’asta di antiquariato francese nel 2004. L’autoritratto, spiegano i giudici, sarebbe stato acquistato per 3.200 euro e avrebbe un valore dichiarato di oltre 107 milioni di euro. Della transazione di acquisto non risulterebbe poi esserci nessuna fattura, bensì “una semplice scrittura privata portante l’intestazione di un antiquario di Monaco”.

La tesi della difesa invece fa perno su perizie affidate a rinomati “laboratori e restauratori in Francia”, che proprio dallo studio dei pigmenti, certificherebbero l’origine del dipinto nel “XVI secolo”. Nel loro ricorso in Cassazione, i legali deducono anche “il vizio di violazione di legge in relazione” all’articolo 518-quaterdecies (cioè il reato di contraffazione di opere d’arte) che “richiede una concreta attività di commercializzazione e circolazione dell’opera”. In quanto l’autoritratto in questi anni sarebbe infatti sempre rimasto in possesso della società dei due indagati. Gli Ermellini, tuttavia, bocciando il ricorso sottolineano “la richiesta effettuata da un legale per conto degli indagati della possibilità di creare dei non fungible token della copia digitale dell’opera in questione, a cui sarebbe seguito un marketplace in cui vendere gli NFT a possibili acquirenti, iniziativa che smentirebbe in proposito quanto dichiarato dagli indagati di non voler ricevere alcun profitto economico dall’opera in questione”.

Pie.Meca.