CARLO BARONI
Cronaca

La missione per Gaza: "Impossibile dimenticare quella neonata denutrita"

Andrea Giani della Pubblica Assistenza di Fucecchio era su uno dei voli MedEvac "Un’esperienza forte che però sarei pronto a riprovare subito". Il racconto.

Il gruppo protagonista della missione di soccorso per 31 bimbi palestinesi

Il gruppo protagonista della missione di soccorso per 31 bimbi palestinesi

"Vorrei ripartire per dare ancora una mano a tanta sofferenza". Andrea Giani, 62 anni, tecnico informatico, è il volontariato della Pubblica Assistenza di Fucecchio che si è imbarcato su uno dei tre voli della 46esima Brigata Aerea di Pisa della missione MedEvac, grazie alla quale 31 piccoli pazienti palestinesi sono arrivati in Italia per essere curati dopo esser stati prelevati in Medio Oriente. Un’operazione di respiro internazionale e che vede il coinvolgimento delle più importanti istituzioni nazionali, civili e militari. Il volo di Giani è partito da Pisa il 12 agosto attorno alle 12,30. Poi tappa al Cairo e nuova partenza per Eilat in Israele, a confine con la Giordania. Al ritorno, lo scalo a Roma per lasciare i feriti ed i loro accompagnatori, e rientro nella città della Torre.

Giani cosa l’ha spinta a partecipare a questa missione?

"E’ stata la mia prima esperienza, ho scelto di mettermi a disposizione e non senza timore".

Ha avuto paura?

"Non posso nascondere che prima di partire ero preoccupato. Si trattava di andare in un luogo segnato da guerra e tensioni. Una terra dove ci sono forti contrasti interni. Ma ha vinto la voglia di esserci e di fare mia pare".

Com’è andato il volo?

"Tutto secondo programma, piloti e persone di bordo di altissima capacità operativa, molto disponibili con tutti noi. Il volo è stato tranquillissimo. Il viaggio molto lungo a causa di tutte le lungaggini burocratiche che abbiamo dovuto affrontare, sia al Cairo che, dopo, ad Eliat".

Quanto feriti avete imbarcato?

"Sul nostro volo sono saliti sei bambini, da alcuni di pochissimi mesi al più grande che mi pare avesse dodici anni. Tutti ovviamente accompagnati, o da entrambi i genitori con i fratelli, o dai nonni. Nessuno di loro era da solo. Da programma avremmo dovuto prendere in carico otto soggetti bisognosi di cure. Ma alla fine due non sono stati autorizzati a partire".

È stata una prova molto dura?

"Sì, dal punto di vista psicologico".

In particolare cosa?

"Per me, il vero cazzotto nello stomaco è stato vedere una bambina di pochi mesi denutrita, penso abbia quattro o sei mesi. Una scena che non dimenticherò mai: mi si stringe il cuore, ancora, a ripensarci. Queste cose le avevo viste solo nei filmati dei lager: immagini che credevamo legate solo a quello che accadde ottant’anni fa. Invece l’ho avuta lì, davanti agli occhi. Fa male, tanto male: queste cose non devono più accadere".

Lei ora dice che sarebbe pronto a ripartire?

"Rotto il ghiaccio con questa prima missione, vedendo il livello organizzativo e pur andando ad operare in quella che è una zona ostile, mi sento di dire che non vedo l’ora di ripartire".

Come ha scelto di diventare volontario?

"Guardi, è arrivato tutto per caso. Nella mia vita mai avrei pensato una decisione del genere. Nel 2017 uscendo da un cliente, nella zona di Ponsacco, vidi un annuncio dove la Pubblica Assistenza promuoveva corsi per volontari: da lì la scelta di fare il corso per guidare l’ambulanza, poi quelli di primo soccorso e anche della protezione civile. E’ così che sono arrivato nel mondo del volontariato e della Pubblica Assistenza. Felice di esserci".

Carlo Baroni