
Stefano Casini Benvenuti
La Toscana rischia una lenta, ma progressiva, deindustrializzazione che potrebbe compromettere la competitività del territorio e la sua tenuta sociale. È l’allarme che arriva dal Manifesto per la reindustrializzazione della Toscana, presentato nei giorni scorsi a Palazzo Buontalenti a Firenze da tre economisti di primo piano: Marco Buti, professore all’Istituto Universitario Europeo ed ex direttore generale della Commissione europea, Alessandro Petretto, docente di economia pubblica all’Università di Firenze, e Stefano Casini Benvenuti, per molti anni direttore di Irpet.
Casini Benvenuti, perché questo Manifesto?
"Il tema della deindustrializzazione è solo la punta dell’iceberg di un problema più ampio: la Toscana, come l’Italia, vive da decenni una crescita debole, con occupazione che aumenta, ma produttività ferma. Questo genera salari stagnanti, se non addirittura in calo, e un sistema che non riesce a garantire redditi adeguati ai lavoratori è un sistema in grave difficoltà. Quando il lavoro si concentra sempre più nei settori a basso valore aggiunto in risposta a una domanda che proviene da una parte del mondo dei servizi turistici o di alcune attività legate all’invecchiamento della popolazione, il rischio è un impoverimento strutturale. Se pensiamo all’economia come a un corpo, la perdita di peso dell’industria può far ammalare anche gli altri organi. È un equilibrio che si regge sulla varietà e sulla capacità di competere. Di qui la nostra idea del Manifesto, che invita tutti a collaborare per costruire nei prossimi cinque anni un nuovo modello di sviluppo".
Quanto pesa la politica in questo scenario?
"La politica italiana ha sempre avuto poca propensione alla programmazione, ma va detto che gli ultimi 15 anni sono stati segnati da eventi drammatici: crisi finanziaria, pandemia, guerre, tensioni commerciali internazionali. Ma proprio in momenti come questo servirebbe un cambio di rotta, perché l’inerzia dello sviluppo si è rotta e il modello tradizionale non regge più".
Il modello basato sulle esportazioni è superato?
"Non va abbandonato, ma certamente non basta più. Per settant’anni abbiamo vissuto pensando che crescere significasse esportare, perché eravamo un paese senza materie prime. Oggi la concorrenza è più dura e la vulnerabilità è aumentata: bastano un dazio, una guerra o una crisi energetica per bloccare interi settori. Dobbiamo affiancare al modello export una strategia di sostituzione delle importazioni, almeno in parte, puntando su energia rinnovabile, autonomia produttiva ed economia circolare".
La Toscana può avere un ruolo in questa transizione?
"Sì, perché dispone già di una risorsa importante come la geotermia, che potrebbe diventare il fulcro di un progetto di autonomia energetica. Allo stesso modo, l’economia circolare non è solo un tema etico-ambientale, ma un modo per ridurre la dipendenza dall’estero e creare nuove filiere. Non è pensabile risolvere tutto a livello regionale, ma alcune leve esistono".
Chi deve farsi carico di questa riconversione?
"Le imprese sono protagoniste, ma non possono fare da sole. Riconvertire significa affrontare costi finanziari e organizzativi significativi. Per questo serve una programmazione che coinvolga lo Stato e le istituzioni pubbliche, con politiche di sostegno e indirizzo degli investimenti. Il Manifesto nasce proprio per stimolare un progetto comune che unisca politica, mondo produttivo e lavoratori".
Monica Pieraccini