
di Maurizio
Schoepflin
Sulla tomba di colui che può essere considerato una vera gloria della nostra terra furono scritte le seguenti parole latine: "Cum per annos plusquam quadraginta huius Regni clavum moderasset, vectigal nullum usquam imposuit"; tradotte in italiano, esse significano: "Nonostante avesse retto il governo di questo Regno per più di quarant’anni, giammai impose tributo alcuno".
Il personaggio in questione è lo stiàno Bernardo Tanucci, verso il quale, proprio per il motivo richiamato nell’iscrizione, non si può non provare simpatia e ammirazione. Da questa figura rimase colpito anche il famoso scrittore Leonardo Sciascia, che, in "Nero su nero", un libro uscito nel 1979, racconta che, mentre passeggiava per Stia, la sua attenzione venne attratta da una lapide, recante la data 1867, posta sulla facciata di una casa situata nella piazza centrale della cittadina dell’alto Casentino.
Su quella lapide c’era scritto: "Qui nacque e abitò Bernardo Tanucci, ministro e confidente di Carlo III e Ferdinando IV di Borbone nel Reame di Napoli e Sicilia – politico esperto dei tempi suoi governò per XLIII lo Stato con potenza di principe ed ebbe nelle cose d’Italia e Spagna voce autorevole – morì lasciando di sé quasi povertà alla famiglia e molto nome alla storia".
Chi fu questo casentinese che si fece tanto onore a Napoli ed è rimasto famoso per essere stato un politico talmente probo e onesto da morire povero? Bernardo Tanucci nacque il 20 febbraio 1698 e si formò presso l’Università di Pisa. Sempre nell’ambiente culturale pisano fu protagonista di una disputa su questioni relative al Diritto romano, che lo vide a capo del "partito" degli innovatori. E questo gli permise di imporsi all’attenzione degli ambienti intellettuali e politici del tempo, tanto che nel 1734 si mise al seguito di Carlo di Borbone, il quale, muovendo da Parma, era in procinto di andare a occupare il trono di Napoli.
Nella città partenopea Tanucci rimarrà sino alla morte, che lo colse il 29 aprile 1783, ricoprendo nel tempo vari ruoli chiave nel governo napoletano. Quando Carlo, ereditata la corona di Spagna, fu costretto a lasciare Napoli, l’importanza del politico stiàno andò aumentando ulteriormente.
In quel momento divenne uno dei più autorevoli membri del Consiglio di Reggenza che guidava il regno a motivo della troppo giovane età di Ferdinando IV, il successore di Carlo.
Nel 1768 ottenne addirittura la carica di primo ministro, ma la nuova regina Maria Carolina d’Asburgo Lorena non lo vedeva di buon occhio, cosicché inevitabilmente la sua parabola cominciò a declinare fino a quando, nel 1776, si trovò costretto ad abbandonare la scena pubblica.
L’azione politica di Tanucci si esplicò in una vasta gamma di direzioni. Innanzitutto, egli si rese conto che il male più grave che affliggeva il regno napoletano era rappresentato dalla "mala bestia baronale", eredità di un sistema feudale che nell’Italia centrale e settentrionale era stato ormai decisamente superato.
Inoltre, fedelissimo alle direttive che Carlo continuava a trasmettergli da Madrid, il Nostro si adoperò affinché si consolidasse il nuovo regno sorto dall’unione del territorio napoletano con la Sicilia.
Un’altra decisione che caratterizzò il governo di Tanucci fu quella di espellere i membri della Compagnia di Gesù fondata da Sant’Ignazio di Loyola oltre due secoli prima: ciò si concretizzò nel 1767, sulla spinta di quanto stava avvenendo in numerose nazioni europee, dove, in ossequio alle idee propugnate dagli Illuministi, i Gesuiti venivano allontanati.
Tale decisione comportò la confisca di un’enorme quantità di beni appartenenti all’ordine ignaziano: chiese, collegi, terreni, scuole, biblioteche. Su consiglio del grande economista Antonio Genovesi, Tanucci non volle che tutto venisse incamerato dalla Stato: i beni immobili agricoli furono concessi in uso ai contadini.
Sempre in conseguenza dell’espulsione dei gesuiti si pose il problema delle scuole, fino ad allora gestite dalla Compagnia: il Nostro approfittò della situazione venutasi a creare e dette vita a istituzione scolastiche pubbliche, affidando l’insegnamento a docenti laici. Bisogna poi ricordare che al tempo del governo tanucciano risale la costruzione della splendida reggia di Caserta, opera del celebre architetto Luigi Vanvitelli: si tratta di uno dei più maestosi edifici d’Italia, la cui costruzione ebbe inizio nel 1752 e terminò nel 1774.
Non v’è dubbio che il quarantennio di attività svolta da Tanucci alla corte napoletana abbia lasciato una traccia indelebile, e le scelte da lui operate ebbero conseguenze decisive per la storia complessiva del meridione d’Italia.
Il suo stile di governo è stato nel tempo molto rivalutato e apprezzato dagli studiosi, anche se egli non sempre riuscì a portare a compimento tutti i suoi disegni.
In questa positiva rilettura dell’opera tanucciana un ruolo decisivo fu giocato da Benedetto Croce, sulla cui scia si mossero vari importanti studiosi, tra cui Fausto Nicolini, Mario D’Addio, Franco Venturi e Raffaele Ajello.
I resti mortali di Bernardo Tanucci andarono perduti quando la chiesa napoletana di San Giovanni dei Fiorentini, dove era stato sepolto, fu demolita e ricostruita in altro luogo.