ALBERTO
Cronaca

Saione, il quartiere dei diavoli scacciati

Sono quelli degli affreschi di Giotto e Benozzo Gozzoli. Il nome invece deriva dai gabellieri che stazionavano a Porta Santo Spirito

Alberto

Nocentini

Il quartiere di Saione, situato fuori dalla cinta muraria trecentesca, si è accresciuto nel corso del Novecento grazie all’inurbamento dei nuovi abitanti provenienti per lo più dalla Valdichiana formando la parrocchia più popolosa della città al punto che la chiesina del XII secolo dedicata a Sant’Antonio Abate, prima isolata in mezzo alla campagna, si è trovata sommersa dai nuovi edifici di via Vittorio Veneto e si è reso necessario costruirne una nuova di dimensioni adeguate: l’attuale chiesa parrocchiale di Saione inaugurata nel 1932 e dedicata a San Francesco e a Sant’ Antonio da Padova.

Il nome di Saione, però, non ha nulla che vedere col saio dei frati francescani, tutt’altro: deriva invece dal gotico sagis nella forma latinizzata sagio ‘gabelliere’ e la chiesina, che offriva un rifugio ai viandanti, venne a trovarsi ad sagiones, cioè vicina alle guardie daziarie stanziate davanti alla Porta S. Spirito a riscuotere pedaggi e gabelle sulle merci, in maggioranza derrate alimentari, che affluivano in città dalla Valdichiana.

Questa non è l’unica traccia della presenza dei Goti nei primi secoli del Medioevo: ben più esplicito è il nome della villa Godiola sul colle di S. Fabiano, un diminutivo latino innestato sull’etnico dei Goti che si ritrova identico nei pressi di Castiglion Fibocchi probabilmente a indicare un presidio militare collocato in posizione strategica contro i Bizantini in quella che fu la guerra più devastante che il nostro bel paese abbia subito durante la sua storia, tale da far impallidire persino il ricordo della II Guerra mondiale.

Anche i Longobardi, che presero il posto dei Goti in un paese desolato e su un popolo decimato, hanno lasciato una traccia della loro presenza, sempre al di fuori della cinta muraria, nella collinetta del Pionta, nome che si confronta coll’antico tedesco piunda ‘porzione di terreno recintato’. Altro nome del Pionta è Duomo Vecchio, vestigio toponomastico dell’antico duomo, che era piccolo in confronto all’attuale, ma era anche un raro monumento di architettura bizantina, demolito in pieno Rinascimento dai Medici: i promotori delle arti fecero quello che né Goti né Longobardi, barbari distruttori, avevano osato fare.

Nel sonetto dedicato a Saione il poeta dialettale Alberto Severi non evoca le vicissitudini dovute alla presenza dei barbari, ma rievoca l’intervento miracoloso di San Francesco che da Saione scacciò i diavoli che imperversavano nel cielo della città alta, ponendo fine alle discordie che dividevano gli aretini; prendendo spunto dall’affresco settecentesco di Liborio Ermini, dipinto sulla parete sinistra della chiesina e divenuto ormai quasi illeggibile, il Severi conclude il sonetto con una domanda inquietante: quanti mò sireno si avarèn le diavele figlièto?. Cose che succedevano nel Medioevo, si dirà, e si prestavano a suscitare la fantasia degli artisti come Benozzo Gozzoli o lo stesso Giotto, che ha raffigurato il miracolo in un memorabile affresco nella Basilica di San Francesco ad Assisi. Eppure i diavoli ci sono ancora oggi, solo che si sono camuffati da spacciatori e ci manca un San Francesco che li cacci via.