
I racconti della violenza cieca. Maria: "Per lui ero una cosa sua e faceva di me quello che voleva". Anna: "Io, in fuga dall’incubo"
Bigozzi
Quante violenze ci sono? Quella sulla donna, sui bambini, in famiglia, sugli anziani abbandonati, sulle mani che ti chiedono un aiuto. In fondo esiste la violenza e basta, di chi getta avanti se stesso asfaltando gli altri. Spesso sottile, invisibile, ammantata di falsa cura. Una vita oltre la violenza, un sogno tra le pieghe di un incubo. E tra le rughe interiori di chi offende prima di colpire. Perchè alla fine l’obiettivo non è tingere di rosso una panchina di rosso, ma ridare i colori perduti a troppe vite spezzate. Nessuna storia è piccola perchè dentro ci sono esistenze cucite nella trama del tempo. Come quelle di Maria Rossi e Anna De Simone. Storie di abusi, precipizi sfiorati o attraversati fino a toccare il fondo. Ma in ciascuna esperienza di dolore, c’è la forza di una donna che si ribella, che dice basta.
La potenza della vita che ribalta i piani e come un’energia contagiosa spinge alla rinascita. Storie di donne coraggiose custodite nel grande Archivio dei Diari di Pieve Santo Stefano, quell’Archivio della memoria nato quarant’anni fa con il progetto di Saverio Tutino. Maria nasce a Lierna, in Casentino nel 1946. Racconta la giovinezza e la prima maturità passate a lottare contro la violenza del marito. Il buio dal 1956 al 1990: si sposa a 19 anni e ben presto si rende conto che quell’uomo ha per lei solo botte quotidiane, segregazione e sopraffazione. All’inizio, subisce, quasi incredula ma piano piano sente crescere l’urgenza della ribellione. Non denuncia, non subito, sceglie un’altra strada e su quel percorso costruisce il suo riscatto: l’autonomia e l’indipendenza. Apre con il marito un piccolo negozio, ma gli affari non girano; lei non si arrende, lavora in fabbrica, poi apre una pizzeria che sarà la sua salvezza. Si appassiona alla vita politica del paese dove vive, una frazione nel comune di Poppi. Non si ferma: frequenta la scuola di formazione del Partito Comunista alle Frattocchie, a Roma, pure se ne esce delusa. Nella sua memoria riflette sulla vita politica italiana, sul ruolo dei partiti, la condizione sociale degli operai e dei contadini.
Quando decide di scrivere la sua storia Maria sceglie un linguaggio che intreccia racconto, prosa e poesia: come se una sola lingua non bastasse a tradurre in parole i suoi pensieri. Scrive: "Lui faceva ciò che voleva, delle cose sue. E io ero solo una cosa sua. Se poi succedeva che io mi concedessi qualcosa ovviamente ’lecito’, non contemplato da lui eran botte. Bastavan cose piccole come leggere un libro che lui considerava una ’deviazione’. È inutile leggere non serve a nulla, diceva. E un giorno torna e mi trova a leggere. Iniziò a brontolare, che stavo perdendo tempo per cose inutili. E avevo speso i soldi per comprarlo lire 7.000. Così si attribuiva il diritto di picchiarmi. E così andò anche quella volta (...) Padrone sempre, così lontano lui dal mio essere. Tutto ciò mi rendeva disobbediente. Mi sono domandata quale posto occupassi nei tuoi progetti ammesso che ne avessi. Non c’era mai un posto per me, e, se c’era quale posto era per te?
Forse no non ho mai avuto un posto importante per te nella vita, mi hai sempre tenuta in mezzo alle tue cose, usandomi come si fa con le cose posandomi quando non ti serviva più. Alle donne non servono padroni, ma attenzioni! Rispetto e amore, quello che viene dal cuore! Carezze che danno certezze. A questo servono le mani, cari uomini di oggi e del domani. No a far violenza!".
Anna De Simone nasce nel 1954 a Massa d’Albe in Abruzzo: famiglia disastrata, lei cresce in un brefotrofio, in mezzo agli stenti. A otto anni torna a vivere a casa, ma durante il primo Natale trascorso in famiglia subisce una violenza sessuale dal nuovo compagno della madre. Che scopre l’aggressione ma non interviene e Anna, come se fosse colpevole, viene mandata via di casa a lavorare come donna di servizio da varie famiglie, nella sua regione, a Roma, in Svizzera. A volte riceve un’accoglienza dignitosa, a volte subisce altrre violenze.
Ma si ribella e scappa: vive per strada a Roma, poi viene rinchiusa in un istituto dove trascorre anni tra umiliazioni e repressione. A 20 anni è finalmente libera, "mi sembrava di avere il mondo in mano, a 21 ero incinta e ho capito che io ero in mano al mondo", scrive nel suo diario. Il ragazzo da cui aspetta un figlio vuole farla abortire, e la tradisce con la sua migliore amica. Anna è sola, con un figlio in arrivo che vuole crescere e problemi economici più grandi di lei da affrontare. Per sopravvivere, comincia a prostituirsi, si lega a tre uomini che non ama, dai quali si fa mantenere in cambio del suo corpo e della sua compagnia.
La prima notte di abusi la descrive in ogni dettaglio, quasi a trasmettere l’orrore e, al tempo stesso, esorcizzarlo, anche ora che nell’arco della sua vita quella notte è già lontana. "L’amico di mia madre mi ha chiamata di sopra dove c’era l’unica camera da letto, mi ha messo sul letto e levato le mutandine . Io che non sapevo che cosa stava facendo, sono rimasta ferma terrorizzata paralizzata, l’istinto mi diceva che era sbagliato, io non avevo la forza di muovermi avevo paura, tanta paura, non c’è stato atto sessuale, avevo comunque subito violenza e tutto ciò hà segnato la mia vita sessuale. Mi faceva schifo e mi facevo schifo. Quando poi lui è caduto a terra, io sono corsa giù per le scale a nascondermi tra la legna. Non mi sono più mossa da lì".