Il filo della speranza è sottile ma è fatto di acciaio. Perchè c’è chi non si rassegna alla follia della guerra e prova a superare l’orrore che pietrifica e scatena controffensive. C’è chi lavora in silenzio e lo fa partendo dalle piccole cose di ogni giorno. Così, a Rondine dove gli studenti israeliani e palestinesi, come pure quelli ucraini e russi, imparano a stare insieme, a condividere persino i panni nella stessa lavatrice. A Monte San Savino Jack Arbib, intellettuale israeliano, mette a disposizione la sua casa e accoglie famiglie di connazionali bloccati in Italia dalla guerra. Voli cancellati su Israele. E pensa che per uscire dal tunnel dell’orrore sia necessario fare passi che vadano nella stessa direzione. Per non commettere più errori "da entrambe le parti".
CronacaQuel filo che annoda la speranza