Salvatore Mannino
Cronaca

"Non si processa mia figlia": il padre di Martina duro. "Rovesciare i ruoli è indecente

Babbo Bruno: «Tutto sbagliato fin dall’indirizzo web. La Puga non può aver visto quello che racconta. In Cassazione ci saremo, pace se non andranno in carcere, niente vendette»

Bruno Rossi

Arezzo, 23 agosto 2021 - «E’ tornata la banda Charlot». Più caustico di così Bruno Rossi, il babbo di Martina, non potrebbe essere a proposito del sito web creato da Luca Vanneschi, uno dei condannati in attesa di cassazione (il 26 agosto) per la morte della figlia, che così rivendica la propria innocenza e grida all’errore giudiziario. «Sì, Charlot, Charlie Chaplin, quello delle torte in faccia. Mi pare che siamo allo stesso livello di serietà»

. Accanto, al telefono, annuisce anche Franca Murialdo, la moglie, coppia inossidabile capace di far lievitare una storia frettolosamente sepolta dalla polizia spagnola dieci anni fa, subito dopo la tragedia del 3 agosto 2011, come suicidio, a caso nazionale capace di conquistare la prime pagine dei giornali e i titoli dei Tg. Fino alla sentenza bis d’appello: Martina morì per sfuggire a un tentativo di violenza sessuale di Vanneschi e del suo amico più spigliato e carismatico, Alessandro Albertoni, il campione di motocross.

«Questo Vanneschi - commenta papà Bruno, pacato ma deciso - non mi pare tipo capace di creare un sito web così. Qualcuno lo ha indirizzato. Lui mi sembra un semplicione, ma che ne sa di Affaire Dreyfus e del J’accuse di Zola? Che ne sa di Piero Calamandrei? Chiaramente lo hanno aiutato, ma doveva parlare prima e soprattutto dire la verità, non quel cumulo di bugie che sono uscite nei processi.

Io voglio sapere perchè mentre Martina agonizzava dentro la fontana dell’albergo e forse si poteva ancora salvare, lui e il suo amico vagavano per l’hotel invece di fare qualcosa per aiutarla. Io voglio sapere perchè mia figlia era senza pantaloncini, in mutande, lei che era così schiva che non si sarebbe mai presentata in camera di due ragazzi in quelle condizioni».

Bruno Rossi, antico sindacalista dei camalli, i portuali genovesi, ha bene in mente, e non ci sta, anche l’indirizzo web del sito: «Ma perchè processomartinarossi.org? Mica è un processo contro mia figlia quello che si è svolto finora e che giovedì va in cassazione. Gli imputati sappiamo tutti bene chi siano. Lo scriva a tutte lettere: Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi, ci sono loro sotto accusa, non Martina ed è un’indecenza che si rovescino i ruoli».

Babbo Bruno ha molto da dire anche sui contenuti del sito, cioè gli atti giudiziari che Vanneschi va pubblicando brano a brano, a cominciare dal racconto dell’unica testimone oculare, la governante dell’albergo Francisca Puga, che parla apertamente di suicidio, di Martina che scavalca e si lascia cadere, anche se la sua verità viene accolta solo molto parzialmente nei processi, tranne il primo appello che finì in assoluzione.

«La Puga ha dato quattro versioni, tutte contrastanti fra di loro. Ma dalle nostre indagini, come dalle inchieste dei Pm, risulta che era in una posizione defilata, dalla quale poteva vedere un corpo cadere ma non tutto il resto. In realtà, credo che lei sia in buona fede, ma che abbia visto molto meno di quanto poi ha raccontato. Lo dicono anche le motivazioni dell’ultimo appello».

I genitori non hanno mai mancato un’udienza riguardante Martina e ci saranno anche a Roma, giovedì, per l’ultimo atto in cassazione. Inutile chiedere cosa si aspettino perchè è chiaro: la conferma della sentenza di condanna, come ripete babbo Bruno. Lo disturba il fatto che, comunque vada, anche in caso di condanna,

Albertoni e Vanneschi non andranno in carcere ma in affido ai servizi sociali? «No, non ho vendette da consumare, solo una verità da cercare. Mi disturba semmai la questione della prescrizione. Senza quella, senza la cancellazione della morte come conseguenza di altro reato, sarebbero sei anni da scontare e sarebbe un’altra cosa. Non lo trovo giusto, nè per noi nè per le altre vittime di reato. Credo che la politica debba metterci una pezza»