Morte Martina Rossi, la Cassazione conferma le condanne. Ecco gli indizi di colpevolezza

I graffi sul collo di uno degli imputati, Albertoni, e il fatto che Martina non avesse più i pantaloncini hanno avuto un peso nella decisione

Martina Rossi

Martina Rossi

Arezzo, 8 ottobre 2021 - Piange babbo Bruno, piange anche quando dalla sentenza che mette fine alla storia processuale della morte di Martina sono passate quasi due ore. E’ stata una maratona infinita, durata dieci anni, due mesi e quattro giorni, quanti ne sono trascorsi dall’alba tragica in cui la studentessa genovese volò giù dal balcone della camera 603 dell’Hotel Santa Ana di Palma di Maiorca, il 3 agosto 2011.

Per sfuggire, conferma ora in via definitiva la Cassazione, al tentativo di stupro di Alessandro Albertoni, il campione di motocross e Luca Vanneschi, piccolo artigiano, decisamente meno spigliato. Un caso giudiziario che è lievitato nel corso degli anni, fino a diventare un evento mediatico di prima importanza, giocato nell’ultima parte non tanto sui fatti (anche se i due giovani di Castiglion Fibocchi non hanno mai smesso di proclamarsi innocenti) quanto sulla prescrizione, che sarebbe scattata tra appena nove giorni, il 16 ottobre, secondo i calcoli della stessa suprema corte.

Battaglia, adesso, che alla luce del verdetto della quarta sezione del Palazzaccio, appare sostanzialmente inutile. Il ricorso presentato per conto di Albertoni da Tiberio Baroni, cui si è aggiunto in extremis il Re dell’avvocatura nazionale, Franco Coppi, e per Vanneschi da Carlo e Stefano Buricchi, è stato infatti dichiarato inammissibile, nemmeno respinto. Vuol dire che fa testo il verdetto d’appello del 29 aprile, nel quale appunto i due ragazzi erano stati condannati per tentata violenza sessuale di gruppo. L’accusa alla quale ha cercato di sottrarli all’ultimo tuffo Coppi: se violenza sessuale è stata, era individuale, perchè due non bastano a fare un gruppo. Il celebre avvocato ha ammesso che la giurisprudenza prevalente era contraria alla sua tesi, ma, ha ammonito i giudici, voi potete cambiarla. O in alternativa considerare il solo Albertoni come autore materiale e Vanneschi come un semplice connivente, non un complice. La risposta della quarta sezione non poteva essere più netta: l’inammissibilità appunto.

Si chiude così un processo indiziario nel quale proprio l’interpretazione degli elementi di prova ha spaccato i protagonisti. Alla fine hanno pesato alcuni dati di fatto evidenziati anche ieri, nella sua requisitoria, dal Pg Elisabetta Cennicola e poi ribaditi dagli avvocati di parte civile, il genovese Stefano Savi, l’aretino Luca Fanfani e il professore viareggino Enrico Marzaduri. Gli stessi su cui aveva costruito la propria tela di ragno in primo grado, ottenendo la condanna a sei anni (poi la morte come conseguenza di altro reato è caduta per prescrizione) il procuratore capo di Arezzo Roberto Rossi. Innanzitutto i graffi sul collo di Albertoni: per la corte d’appello sono i segni della reazione di lei al tentativo di stupro. E poi il fatto che la studentessa genovese sia volata giù in mutande, senza i pantaloncini del pigiama che aveva secondo le amiche. Glieli hanno sfilati Alessandro e Luca, ribadiscono i giudici d’appello. Lo scenario d’accusa è chiaro: lei che sale al sesto piano, mentre le compagne di vacanza amoreggiano al primo, l’aggressione sessuale che le chiude anche la via d’uscita principale della porta, il tentativo disperato di trovare un’altra via di fuga, dal terrazzo, scavalcando verso il balcone della stanza vicina ma perdendo l’appiglio e volando per sei piani fin dentro la piscina.

C’è anche la testimonianza dei vicini di camera danesi che dicono di aver sentito il rumore di passi giù per le scale: quelli di Albertoni che invece dice che era già sceso dalle amiche. I ragazzi hanno sempre occhieggiato alla versione del suicidio con la quale la polizia spagnola aveva archiviato il caso. Hanno parlato di una reazione isterica e inspiegabile di lei, che avrebbe cominciato a urlare frasi sconnesse, hanno raccontato persino (Albertoni) di uno spinello che l’avrebbe fatta star male. I genitori non ci hanno mai creduto. Anche l’ultima sentenza dà loro ragione. Il caso è chiuso. «Finalmente la verità», piange anche mamma Franca.