Martina, il caso è chiuso: confermata la condanna a tre anni dei due giovani aretini

La Cassazione accoglie la richiesta del procuratore generale: camera di consiglio in meno di due ore. I ricorsi delle difese giudicati inammissibili

Martina Rossi

Martina Rossi

Arezzo, 7 ottobre 2021 - Tre anni erano e tre anni rimangono. Sul caso Martina la Corte di Cassazione ha accolto la richiesta del procuratore generale. E confermato la condanna pronunciata in appello a carico di Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi, i due giovani di Castiglion Fibocchi.

A deciderlo è stata la quarta sezione penale della Cassazione, che  ha confermato la sentenza della corte d'appello di Firenze che il 28 aprile scorso aveva condannato a 3 anni i due giovani per tentata violenze sessuale su Martina Rossi.

La giovane studentessa genovese è morta il 3 agosto 2011 precipitando dal sesto piano di un albergo a Palma di Maiorca, dove era in vacanza con le amiche. I ricorsi delle difese sono stati dichiarati inammissibili dalla Cassazione.

La richiesta della conferma della pena era stata fatta dal sostituto procuratore generale Elisabetta Ceniccola nel corso della sua requisitoria. In primo grado davanti al Tribunale di Arezzo il 14 dicembre 2018 Vanneschi e l'amico Albertoni erano stati condannati a 6 anni di reclusione per tentato stupro e morte in conseguenza di altro reato.

Il 9 giugno 2020 la Corte d'appello di Firenze li aveva poi assolti "perché il fatto non sussiste". La Cassazione però il 21 gennaio scorso ha annullato la sentenza di assoluzione disponendo un nuovo processo per i due imputati. L'appello bis a Firenze lo scorso 28 aprile si è concluso con la condanna a 3 anni di Vanneschi e Albertoni per tentata violenza sessuale di gruppo, essendosi prescritto l'altro reato.

Per i giudici della Corte d'appello di Firenze, come si legge nelle motivazioni del processo bis, appare "provato al di là di ogni ragionevole dubbio che Martina Rossi, la mattina del 3 agosto 2011, precipitò dal terrazzo della camera 609 dell'albergo dove alloggiava, nel tentativo di sottrarsi a una aggressione sessuale perpetrata a suo danno dagli imputati".

LE ORE DELL'ATTESA. Da qui la richiesta del procuratore generale ha chiesto in Cassazione di confermare le condanne già pronunciate in appello. L'udienza è in corso, in serata la sentenza. "Martina, noi ti crediamo": lo scrivono sugli striscioni, sui cartelli, lo appendono ai paletti di ghisa che a Roma non mancano di certo. E' la manifestazione delle donne per Martina nel giorno di quella che si annuncia come l'ultima sentenza.

LA MANIFESTAZIONE IN PIAZZA. Siamo lì, in piazza Cavour, davanti al Palazzo di giustizia che ha già visto una volta sfilare tutti i protagonisti di una vicenda che arriva da lontano. In una Roma distratta ma che si volta a guardare la protesta tutta al femminile.

C'è chi ha fatto il collage di foto e immagini per ricordare la vicenda. C'è chi addirittura di quel volto ha fatto una maschere, quasi a dire "Siamo tutte Martina". La vicenda giudiziaria, in un complesso braccio di ferro tecnico tra accusa e difesa, si gioca dentro il palazzo, anzi per i romani più propriamente il "palazzaccio". Fuorio c'l la manifestazione che dal profilo Facebook era stata lanciata e vede l'adesione anche dell'Udi, l'Unione donne italiane.

Le scritte? "Marina noi ti crediamo: la prescrizione non la accettiamo". "Verità e giustizia per Martina Rossi" "La colpa non è mia: nè di dov'ero nè di come ero vestita". "La violenza non va in prescrizione, la violenza non si cancella".

La prescrizione è il convitato di pietra all'interno del palazzaccio, la prescrizione è il nemico fuori, tra le mascherine calate fino agli occhi e i cartelli. Dentrpo allora di pranzo ancora scorre l'intervento del relatore. Il "menu" della Cassazione è lungo, i tempi non saranno brevi: l'attesa continua.