di Salvatore Mannino
Sono i cinque cavalieri dell’apocalisse, i giganti dell’oro puro, che restano, anche dopo l’annus horribilis 2020, i top five nella classifica delle maggiori aziende aretine per fatturato. E non solo, perchè sono anche nella graduatoria delle prime 15 imprese toscane, due addirittura sul podio delle prime tre. Parliamo ovviamente, in rigoroso ordine di classifica provinciale, di Chimet, Italpreziosi, Tca, Sicam e Safimet, le grandi produttrici e distributrici di lingotti o metalli preziosi ricavati dal riciclo, le protagoniste di dodici mesi difficili ma comunque col vento in poppa, visto che l’export dell’oro puro è cresciuto del 62 per cento in nove mesi e del 45 solo nell’ultimo trimestre noto, quello da luglio a settembre.
La Chimet, che secondo indiscrezioni ancora ufficiose, conferma sostanzialmente in questo anno disgraziato i 3,2 miliardi del 2019, è addirittura la prima azienda regionale per fatturato, un passo più avanti persino del Nuovo Pignone International, impresa da 5 mila dipendenti, che si ferma a 2,9 miliardi. Cifre che sono ovviamente drogate dal fatto che a Badia al Pino, con 130 addetti, si lavorino i metalli preziosi, il cui valore fa inevitabilmente lievitare enormemente i numeri. Il che non toglie che siano lo stesso impressionanti: in fatturato Chimet vale un decimo di Eni, il primo gruppo italiano, e la metà del colosso Esselunga.
Anche Italpreziosi, che si occupa fondamentalmente di trading dell’oro, dovrebbe rimanere più o meno nel 2020 sui 2,7 miliardi del 2019: il lockdown ha rallentato ma non fermato la corsa dell’azienda guidata da Ivana Ciabatti, che mette sotto un’altro sigla di Nuovo Pignone nonchè due giganti commerciali come Conad e Unicoop Firenze, capace di scavalcarla solo nella somma con la consorella Unicoop Tirreno. Nel novero delle prime quindici in Toscana c’è anche Tca, che con i suoi 840 milioni di fatturato (ancora indiscrezioni su un bilancio da chiudere entro giugno) sta a un passo da Piaggio, un nome che non ha bisogno di presentazioni. Inutile ripetere che si tratta di curiosità puramente statistica: se poi si va a guardare valore aggiunto e numero di dipendenti, la posizione dei giganti dell’oro puro si ridimensiona di molto.
Ma torniamo alla graduatoria aretina. Dopo le cinque posizioni occupate da chi vive di metalli preziosi, la sesta piazza va a Power One, da novembre Fimer: nel 2019 il fatturato era di 281 milioni, in difficile tenuta in un 2020 arduo anche per chi, come il gruppo valdarnese, non ha mai chiuso ma solo rallentato per lockdown. Regge e anzi migliora leggermente la settima in classifica, la Butali di Euronics: 222 milioni quest’anno contro i 210 di dodici mesi fa. L’azienda ha sofferto lo stop da Covid di primavera, ha rimbalzato forte in estate e ha frenato di nuovo con la chiusura dei centri commerciali che pesa ancora.
Si migliorano due aziende che non hanno sofferto più di tanto la crisi da Covid: Aboca di Valentino Mercati (ottava), che sale del 5%, da 173 a 180 milioni, e Tratos Cavi (undicesima) di Albano Bragagni, in crescita da 113 a 116-118: bene soprattutto all’estero, conferma il titolare. I guai semmai arrivano con la settima in classifica, la prima impresa di gioielli d’Europa, ovvero UnoAerre, consorella di Chimet nel gruppo Squarcialupi: i 177 milioni del 2019 sono in flessione di un buon 15%, anche se la media di caduta del distretto più importante(e in difficoltà) del continente è del 30%.
Se i fatturati 2020 sono già delineati, è ancora troppo presto per gli utili. Non resta che rifarsi ai dati del 2019, che vedevano Chimet prima con 24 milioni di profitti, alla pari con Ceia (un altro nome che continua ad andar bene) e da Aboca, 18 milioni. Sorprendente semmai la performance di Sugar, piccolo gigante del commercio griffato di Beppe Angiolini: 5 milioni di profitto (quinto posto dopo Fior (gioielli) su un fatturato di 76 (nella top 20). Meglio di un gioiellino quotato in Borsa come Minconf (affari per 64 milioni).