
Arezzo, 25 agosto 2023 – "Quell’uomo faceva paura. Un violento per il tenore delle minacce verbali e per l’atteggiamento con cui ha creato scompiglio nel pronto soccorso. Sapevo che invitandolo a uscire dalla struttura per proteggere il personale a disagio, lui mi avrebbe messo le mani addosso". Giorgio Sgrevi guida la trincea dell’emergenza e urgenza all’opspedale della Fratta, dopo quella del San Donato per oltre venti anni. È lui l’ultimo camice bianco in ordine temporale, malmenato da un paziente esagitato. Ha fatto la segnalazione sul portale dedicato, attivato dalla Asl. Sette giorni, la prognosi per superare gli effetti di "due pugni in faccia e uno all’addome", ma lui è rimasto al suo posto, "non mi è passato nemmeno per l’anticamera del cervello di restare in convalescenza a casa".
Dottor Sgrevi, quale clima vivete in ospedale?
"Quello delle aggressioni al personale sanitario è un fenomeno che si ripete, ma diversamente dal passato, in generale oggi è cambiato l’atteggiamento dei pazienti che arrivano in pronto soccorso e dei loro familiari".
Come?
"Di solito accade quando le persone che hanno un problema e i parenti avanzano pretese che non sempre possono essere soddisfatte nei tempi desiderati. E questo per motivi oggettivi legati al numero di situazioni che affrontiamo nell’arco della giornata, una lunga giornata, fatta anche di dodici ore. È lì che si innestano stati di insofferenza che possono sfociare in aggressioni verbali o fisiche".
Si è abbassata la soglia della tolleranza? Un lascito Covid?
"No, il Covid non c’entra. Negli anni, insieme ai colleghi, abbiamo notato una crescita del fenomeno collegato all’evolversi della società, diventata sempre più complicata. ll rispetto dei ruoli e delle persone, almeno nel nostro caso, è andato scemando negli anni. È un fenomeno sociale e ne troviamo traccia ogni giorno sulla stampa di settore, nei report dei casi che accadono in tutti gli ospedali d’Italia".
C’è un effetto a livello psicologico sul vostro lavoro?
"Si, i colleghi me lo rappresentano. E questa sorta di condizionamento si manifesta di più in situazioni di sovraffollamento del pronto soccorso, quando i tempi di attesa inevitabilmente si allungano. La visione comune tra colleghi è di avere di fronte non solo un paziente ma a volte una sorta di nemico che aspetta solo un nostro passo falso".
Un paradosso visto che al pronto soccorso salvate vite. Come si sente?
"Non è una bella sensazione perché la stragrande maggioranza di noi ha scelto la specializzazione in emergenza e urgenza con l’idea di essere utile agli altri e ricavare da questo la gratificazione professionale. Purtroppo è sempre più raro incontrare pazienti che apprezzino il nostro impegno. E questo lascia l’amaro in bocca".
Ha paura?
"Chi lavora al pronto soccorso, non pensa alla paura nè al fatto di poter subire un’aggressione da chi arriva. Il nostro è un lavoro fatto di passione, sei concentrato solo su quello".
Nel suo caso da dove muove la passione?
"Viene da lontano, dall’idea di fronteggiare tutte le emergenze che possono capitare a una persona; essere in grado di gestire l’evento improvviso che mette in crisi un corpo umano, in una situazione in cui solo una persona presente in quel momento può risolvere".
Tra un turno e l’altrosuona la chitarra nella band Medici e Musica di Marco Feri?
"Condivido l’amore per la musica con alcuni colleghi e facciamo concerti ma per iniziative di beneficenza. Sempre per essere utili agli altri".