
Tanti disoccupati ma anche tanti posti vuoti nelle aziende. Arezzo è tra le venti province dove è più difficile reperire lavoratori. A dirlo è la Cgia, l’associazione di categoria delle piccole e medie imprese di Mestre, che nel suo ultimo report settimanale ha stimato una difficoltà di reperimento delle entrate previste del 46% nell’Aretino.
È il valore il più alto di tutta la Toscana, 6 punti percentuali alla media nazionale ferma al 40%. Nel 2022 ad Arezzo erano richiesti ben 26mila lavoratori ma nella metà dei casi gli imprenditori hanno denunciato la difficoltà a trovare nuovi occupati, anche, se come si legge nell’articolo nella pagina a fianco gli stipendi in città sono aumentati nell’ultimo anno.
È un po’ un paradosso anche perchè ad Arezzo il tasso di disoccupazione è del 7% mentre quella giovanile fiora il 29%, almeno stando agli ultimi dati di camera di commercio del 2022.
Certo, i numeri di chi è senza lavoro e lo cerca sono inferiori alla media sia regionale che nazionale ma il dato di fatto è che ci sono da una parte potenziali lavoratori e dall’altro potenziali posti di lavoro. Un po’ come due rette parallele però che per certi aspetti vanno avanti di pari passo ma senza mai incontrarsi. È quello che gli esperti di microeconomia e sociologia del lavoro chiamano mismatch tra domanda e offerta che appunto non riescono a incontrarsi creando un cortocircuito nel mercato del lavoro.
Per farla semplice: gente che vuole lavorare c’è ma vorrebbe fare altro - o magari in condizioni diverse, migliori - rispetto quanto proposto dal mondo del lavoro. Sia chiaro, non è mica una novità nel nostro paese, così come nella nostra città ma mai aveva assunto queste proporzioni: basti pensare che in tutto lo stivale a fronte di 2 milioni di disoccupati ci sono un milione di posti vacanti che le imprese cercano di riempire invano.
Il risultato è evidente: da una parte tante persone, soprattutto giovani, rimangono senza un’occupazione e dall’altra tante imprese rimangono senza personale, alcune rischiando la chiusura o ridimensionando il loro giro di affari.
Una situazione preoccupante ma difficile da spiegare con un’unica chiave di lettura.