SIMONE
Cronaca

Il mito della Chimera attraversa i secoli. Il mostro e la montagna dei fuochi eterni

Il bronzo etrusco ritrovato nel 1553 fuori dalle mura della città interroga ancora studiosi e archeologi. La simbologia mitologica

Il mito della Chimera attraversa i secoli. Il mostro e la montagna dei fuochi eterni

De Fraja

Molti archeologi e studiosi hanno analizzato a fondo il bronzo della Chimera, ormai sinonimo di oggetto impossibile. Probabilmente faceva parte di una composizione sul mito di Bellerofonte che uccide il mostro a tre teste. Pubblicazioni, cataloghi e mostre hanno studiato i minimi dettagli, dalla cultura in cui essa dev’essere calata alla tecnica di produzione, al mito di cui essa fa parte, alle derive interpretative. Una sezione apposita del Museo Archeologico ne ricostruisce la storia con un balzo nell’Arezzo di Cosimo.

La Chimera riporta un’incisione etrusca ed è stata fatta risalire tra la fine del V e l’inizio del IV secolo a.C. Dal punto di vista anatomico sembra che la Chimera (che in geco significa capra), sia una creatura triforme sputafiamme che presenta un corpo ed un muso leonini, una testa di capra che le si erge in mezzo alla schiena ed una sinuosa coda a forma di serpente, almeno secondo Esiodo. Secondo Omero, più semplicemente, pare che la creatura avesse il corpo di capra, coda di drago, testa di leone e che sputasse fuoco dalle fauci (Iliade, VI, 180-184)

Oltre aver ereditato dalla cultura classica numerose forme di esseri compositi quali centauri, l’idra, il cavallo alato e simili, quando venne scoperto il bronzo della Chimera era il momento in cui il anche il medioevo aveva lasciato l’eredità di draghi, serpenti volanti e creature marine pericolosissime.

Sembra davvero inverosimile un incontro con creature scaturite da tali miscele cromosomiche bestiali. E allora, da dove nascono queste fusioni anatomiche mostruose? Se non dalla realtà, dalla fantasia, dal mito o dall’osservazione di qualcosa o da tutto ciò? Da ricordare che, secondo il geografo Strabone, la tana di Chimera fu individuata in Licia in una zona interessata da fenomeni di vulcanesimo secondario che ha poi preso il nome di Monte Chimera (il monte della capre). La zona era già famosa per essere caratterizzata dai fuochi eterni che ancora bruciano poiché ricca di metano che fuoriesce naturalmente.

Potremmo immaginare un antico viaggiatore greco che in Licia, sente un odore nauseabondo, vede fuoco, leoni, serpenti e capre al tempo piuttosto comuni: si impressiona rimanendo colpito psicologicamente dalla situazione e riporta di aver visto esseri strani, anche grazie alle esalazioni del gas naturale che possono aver alterato i sensi.

Potrebbe essere facilmente andata così: una forte suggestione che crea l’inesistente.

Ma studi interessanti come quelli condotti da Adrienne Mayor sui primi osservatori di fossili dell’età antica o da Matt Kaplan, sui mostri mitologici geneticamente impossibili, introducono un tema di valutazione importante: l’osservazione di resti animali diversi tra loro rinvenuti, forse fossilizzati, in un unico contesto, in un unico sedimento geologico.

Immaginiamo uno strato roccioso o un’ansa di un fiume, o addirittura una sponda di un laghetto di bitume di cui la Licia era ricca, dove si sono raccolti gli scheletri di una leonessa (animale tipico della Licia al pari delle capre), e o altri animali, riuniti in un groviglio o posa anatomica, forse invischiati dal catrame o morti durante una lotta per la sopravvivenza. Se a questo poi ci vogliamo aggiungere anche uno scheletro di serpente, animale molto diffuso, il tutto come altri scheletri quali quello di un cavallo i cui resti sono stati osservati unitamente a quelli di un possente rapace che ne aveva asportato alcune parti, ecco che si gettano le basi per un puzzle anatomico e mitologico.

Nell’osservatore di questa curiosa e singolare accozzaglia di resti provenienti da creature differenti non può che spingere la sua immaginazione ad un “rimontaggio” forzato che li contenga tutti: pur non comprendendo la fusione anatomica dei pezzi l’osservatore tende automaticamente a creare connessioni, fornire la soluzione al problema che in questo caso sfocia in un mostro e dunque individuare forme che, per quanto, improbabili possano avere un significato.

Lo choc dai ritrovamenti fortuiti, l’inospitalità della terra da cui si sprigionano improvvise fiamme alimentate da bitume e metano, conduce alla distorsione del ricordo generandone uno nuovo che comprenda e dia una sorta di giustificazione all’esperienza vissuta: la mente si sofferma, costruisce ed ingigantisce non ciò che è esperienza comune ma ciò che è stravaganza. Apofenia, forse, l’attitudine di un individuo nel riconoscere schemi o connessioni tra informazioni prive di correlazione logica: una “immotivata visione di connessioni” corroborata da una “spropositata significatività”, scriveva lo psichiatra psichiatra Klaus Conrad. Se ciò è una ipotetica digressione psicologica dinanzi allo scoprimento di un qualcosa che esce dal comune pare ancora più plausibile la tesi del montaggio anatomico di resti o fossili di bestie accatastati in un unicum, un mostro, capace di entrare nel mito, di avere vita propria e fornire esempi di scultura unica e raffinata come la Chimera d’Arezzo: dalla realtà all’arte, dall’impossibile al possibile grazie alla fantasia, alle distorsioni della mente, all’osservazione e alla maestria degli antichi.