
I Tarlati stabilirono una signoria e furono capi indiscussi della fazione ghibellina. Un libro elenca tutti i personaggi di questa terra
Emiliano Bartolozzi
I Tarlati furono la seconda famiglia (dopo gli Ubertini) a riuscire a stabilire una signoria di fatto sulla città e della città di Arezzo; erano gli inizi del 1300. Il personaggio più famoso della famiglia fu senz’altro Guido Tarlati, vescovo e signore di Arezzo. Guido fu il capo indiscusso, insieme al lucchese Castuccio Castracani, della fazione imperiale e ghibellina in Toscana nella prima metà del ’300; talmente potente e famoso da incoronare, quale Re d’Italia, l’imperatore scomunicato Lodovico IV, detto il Bavaro. Fu un evento epocale: un vescovo scomunicato che incoronava un imperatore scomunicato.
Il vescovo Tarlati aveva, di fatto, sostituito il Papa. Fu un’apoteosi, il vescovo di Arezzo era sostanzialmente diventato il Papa dei ghibellini. I Tarlati ebbero un ruolo importante anche nella battaglia di Altopascio del 23 settembre 1325, dove le truppe lucchesi, milanesi e aretine sconfissero nuovamente i guelfi (fiorentini e senesi prevalentemente) in una battaglia campale tra le più importanti del ’300. Quella mattina, i guelfi, già massacrati dieci anni prima a Montecatini, si presentarono ancora una volta superiori nel numero (22mila guelfi, contro 15mila ghibellini circa) ed ancora una volta pensarono di vincere non dico facilmente ma quasi, pur avendo in pratica sempre perso; diciamo che contavano molto sul fattore numerico.
Ma una battaglia non è una rissa e non sempre il terreno ti avvantaggia, come era successo a Campaldino. Altopascio è infatti situata in una valle molto più larga del Casentino e la cavalleria ghibellina (la migliore di quei tempi) poteva manovrare con molta più libertà. Al primo attacco primeggiarono i fiorentini, ma alla seconda carica della cavalleria ghibellina (aretina e lucchese), non ressero l’impatto e furono ridotti allo sbaraglio; i fanti fiorentini vennero travolti dai propri cavalieri in rotta e si scatenò un fuggi, fuggi generale.
La cavalleria ghibellina tagliò tutte le vie di fuga e fu una carneficina. Il giorno 11 di novembre la città di Lucca dedicò ai vincitori un vero trionfo in stile romano, in cui venne mostrato anche il “carroccio” dei nemici con lo stendardo di Firenze a testa in giù. Firenze fu assediata e alle sue porte lucchesi, milanesi e aretini fecero correre, per scherno, tre pali: uno di cavalieri, il secondo di contadini a piedi e il terzo di sole prostitute! Viene annotato negli Annali minori (aretini) : 1325 “I Fiorentini andarono con l’esercito … Raimondo era il loro capitano …. una parte dell’esercito di Castruccio venne contro i Fiorentini i li pose in conflitto ed allora molti di essi furono uccisi … e dopo tre giorni i Lombardi vennero in aiuto, cioè Azzone, figlio del signore Visconti di Milano … e i fiorentini furono debellati, presi ed uccisi … e a tutte le predette cose parteciparono i militi di Arezzo e il signore vescovo.”
Il signore e vescovo di Arezzo, Guido Tarlati era parente stretto di quel Guccio Tarlati, infilato da Dante nell’anti-purgatorio. Guccio morì in battaglia, probabilmente annegato nell’Arno, vicino al castello di Rondine, tana dei guelfi Bostoli (oggi “cittadella della Pace”), inseguendo alcuni mebri della rivale famiglia aretina. Dante non precisa i motivi per cui Guccio si trovi all’inferno, ma lo indica tra coloro che trascurarono i propri doveri spirituali: i negligenti.
Il Tarlati era probabilmente all’inseguimento dei nemici, quando, nell’attraversare l’Arno, mori affogato. Per i tempi, era una cosa più usuale di quanto non si possa pensa.
Per dare un quadro più completo dell’Arezzo del ‘300, vi riporto il testo di una lettera del 1335, scritta da Piersaccone Tarlati a suo fratello Tarlato Tarlati : “Sabbato di X giugno ce partimo da Sansebio a hora nona et andamo dal lago 1 a le terre di quelli di Castelnuovo e ponemoci in su una villa, che a nome Tuoro (sul lago Trasimeno) la qule è ben di C (100) case et, nello ardere di questa, andammo in Battivalle e Ligniale, havemo la torre di Monte Gualandi tucta, et havemo il palazzo; ardemo, la sera, Sanguineto et le Mandrelle … la domenica mattina... ce levammo de Tuoro et andamo in su … il borgo di Passignano.... ardemmo la villa de monte Ruffiano et de Torricella et andammo sopra un castello di Carpano... et in quella era gionto il Podestà di Perusia a confortare gli homini... come ce videro subito fugirono sopra un monte et lassarono il castello: il quale sera noi l’ardemo tucto … in suma noi siamo suti presso a Perusia a tre miglia... credo che noi aviamo arse VII case e fattoli tanto danno e tanta vergonia che mai cità, in si piccolo tempo, ricevette tanta; e reveniamo domattina, per tempo, a Castilione, però fate che ci sia del pane. Data in Spedaluchio di XII di giugno, dopo vespro.” Questi erano i tempi.