REDAZIONE AREZZO

Era un colosso dell’impero di Roma la grande fabbrica di stoviglie di Cincelli

Un’area archeologica trascurata che rivive nelle pagine di un libro di Franco Dall’Ara. Anche un florilegio di personaggi indimenticabili

Claudio

Santori

Mi è capitato spesso di ricordare il monito di Giuseppe Giusti: “Il fare un libro è men che niente, se il libro fatto non rifà la gente”, se cioè non arricchisce la sensibilità e la cultura del lettore e non amplia la visuale su luoghi e avvenimenti.

Ne è appunto arrivato in libreria uno che non solo risponde in pieno all’epigramma del toscanaccio di Monsummano, ma addirittura mancava nel pur ricco catalogo della saggistica relativa alla città e alla provincia: “Popolo di Cincelli”, di Franco Dall’Ara.

Il territorio di Cincelli è una delle più importanti zone archeologiche della provincia, purtroppo non sufficientemente valorizzata e tutelata. E il libro, mantenendo anche più di quanto non prometta il titolo, ha il suo punto di forza nella proposta di una nuova carta dei siti archeologici e dei percorsi naturalistici e ambientali.

Conviene cominciare di qui la recensione del libro perché l’aggiornamento proposto era da tempo atteso e necessario! La zona archeologica, nella carta dei Beni Archeologici e del contesto AR05, è infatti attualmente ferma al ponte romanico: Dall’Ara ne propone l’estensione alla zona di Cincelli e alla Costa di Ferro. La novità è costituita da un’ampia cartina allegata nella quale la zona relativa alla nuova proposta è chiaramente evidenziata in colore viola. Non possiamo che far voti perché l’appello non cada nel vuoto: lo reclama una terra da sempre dragata e saccheggiata dai ricercatori della domenica e non solo da questi.

La gente di Cincelli trova in queste pagine un completo e fascinoso ritratto di sé, del suo temperamento e della sua storia. Perché l’autore parte dalla storia (anzi dalla preistoria con una nota sui rinvenimenti preistorici) con intriganti camei sulla “più grande fabbrica di stoviglie dell’impero romano”, ossia Cincelli appunto ai tempi di Roma, con utili indicazioni in merito alle fornaci etrusche e romane, alla terra sigillata e all’origine dei ritrovamenti, nonché agli scavi clandestini: sono così raccolte insieme in un unico libro alcune importanti testimonianze oggi non facili da reperire (pagine di Gamurrini, Di Caprio-Picon, Troso, Greci e Cerchia-Zaccagnini).

La gente di Cincelli, dicevo: ed ecco una panoramica di famiglie e di personaggi, aperta dall’imprescindibile Vincenzo Funghini, il grande collezionista, del quale è riprodotto il ritratto con la moglie.

Ingegnere e architetto, nato a Castiglion Fiorentino nel 1828 e morto a Firenze nel 1895, il Funghini si espresse sempre con toni polemici contro l’esportazione all’estero del patrimonio archeologico e fece al museo di Arezzo importanti donazioni, senza tuttavia disdegnare rapporti con antiquari italiani e stranieri: la Zamarchi Grassi parla di grosse fughe da Arezzo di materiali di scavo e rammenta che dei 20.000 frammenti da lui posseduti, meno di 5000 sono nel museo di Arezzo.

Dall’Ara racconta anche la storia di altri protagonisti degli scavi come Angiolo Ducci e Antonio Bizzelli, passando attraverso le famiglie Rossi, Romanelli, Chimenti e Forzoni.

Non manca un cenno a quella Sulpicia che è l’unica donna nell’intera letteratura latina pagana della quale ci siano pervenuti versi, legata peraltro paradossalmente a questa terra perché … non voleva saperne di venirci, attratta com’era dalla “dolce vita” romana!

Ma questa è cosa risaputa. Salta fuori dalle pagine di questo libro un personaggio incredibile, appena noto a pochissimi specialisti: il sacerdote don Luigi Vignani del quale l’autore rammenta l’abilità di costruttore di pianoforti, anzi di perfezionatore della meccanica di questo strumento: chi poteva immaginare che la terra d’Arezzo, che si vanta “Città della Musica”, avesse prodotto anche un tecnico a suo tempo riconosciuto a livello europeo? infine, di Gherarduccio di Guglielmo del Poggio (curtis o castrum della Villa di Cincelli) da cui prendono il nome alcuni Bracciolini, fra i quali appunto Poggio?

L’autore, con la consulenza del dottor Luigi Borgia, si avventura anche nell’araldica riproducendo alcuni stemmi di famiglie locali con relativa descrizione (è riportato anche lo stemma dei Falciai, essendo stata Rosa Falciai la seconda moglie di Angiolo Ducci), nonché riproducendo e commentando adeguatamente numerose mappe catastali. Sono proprio queste ultime a dare la misura dell’originalità e dell’utilità di un libro che non è, quindi, importante soltanto per il “popolo di Cincelli”, ma per tutti quanti siano interessati ad approfondire la conoscenza di una delle parti più affascinanti e meno studiate della terra d’Arezzo, entrata nella lente dei media e nell’immaginario collettivo solo a seguito dell’identificazione, da parte di Cesare Mafucci, scientificamente dimostrata da Carlo Starnazzi, del Ponte Buriano nel ponte che compare a fianco della spalla sinistra della Gioconda.

Ma questa è un’altra storia della quale tanto abbiamo parlato in passtao e di cui sicuramente torneremo a parlare in quanto bagaglio della storia della nostra terra di Arezzo. E di essa tanto ancora abbiamo da scoprire, autentico scrigno di tesori non sempre valorizzati a sufficienza, come d’altra parte la vicenda di Cincelli, qui ricostruita, ci fa capire perfettamente.

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