REDAZIONE AREZZO

Era aretino l’inquisitore di Giordano Bruno

Il cardinale Roberto Bellarmino nacque a Montepulciano quando la città apparteneva alla diocesi di Arezzo. Una lunga carriera ecclesiale

Maurizio

Schoepflin

Come si chiama il famoso Santo e Dottore della Chiesa, vissuto a cavallo tra il XVI e il XVII secolo, che ebbe i suoi natali in terra aretina? La risposta esatta è Roberto Bellarmino. A questo punto i più acculturati insorgeranno e diranno: ma non nacque a Montepulciano? Cosa c’entra con Arezzo? In effetti Belalrmino vide la luce nella città poliziana nel 1542, in una parrocchia allora appartenente alla diocesi di Arezzo. Infatti, la diocesi di Montepulciano fu eretta da Papa Pio IV solo nel 1561, ricavandone il territorio da quelle limitrofe di Chiusi e Arezzo. Dunque appare legittimo annoverare il Bellarmino tra i Santi aretini.

Entrato nel 1560 nella Compagnia di Gesù (la da cui proviene Papa Francesco), ordinato prete nel 1570, creato cardinale nel 1599, nominato Arcivescovo di Capua tre anni più tardi, fine teologo e polemista, Bellarmino fu beatificato nel 1923, canonizzato nel 1930 e dichiarato Dottore della Chiesa l’anno seguente.

I cenni biografici risultano sufficienti a valutare l’importanza della figura di un protagonista della Riforma cattolica all’indomani del Concilio di Trento. Educato dalla madre, sorella del futuro Pontefice Marcello II, a una religiosità rigorosa, Bellarmino a motivo delle notevoli capacità intellettuali e della grande competenza teologica, fu chiamato a intervenire nelle più scottanti questioni dottrinali del suo tempo, tanto che lo troviamo impegnato in numerose dispute e controversie. Partecipò direttamente anche ai drammatici scontri che opposero la Chiesa a Giordano Bruno e a Galileo Galilei, e in ambedue queste dolorose vicende si dimostrò aperto al confronto e al dialogo, seppur entro i limiti propri dell’ epoca in cui visse e operò.

Non è difficile comprendere come tutta questa delicata e complessa attività gli abbia procurato critiche e antipatie, al punto che il processo per la sua canonizzazione, più volte interrotto, si è protratto per circa 300 anni. Studioso di vaglia e abile divulgatore delle verità cristiane, fu docente nei collegi dei Gesuiti di Firenze, Mondovì, Lovanio e Roma, contribuendo, fra l’altro, alla redazione della celebre “Ratio Studiorum” – cioè il percorso educativo e culturale – della Compagnia di Gesù.

Nei tre anni del suo episcopato a Capua rianimò la vita della diocesi, distinguendosi nella predicazione e nella carità. Alla morte, che lo colse a Roma all’età di 79 anni, lasciò una cospicua mole di scritti, tra cui alcune opere di divulgazione della fede, quali la Dottrina cristiana breve, la Breve istruzione sui Sacramenti e la Dichiarazione più copiosa della dottrina cristiana, che vanno a comporre il suo celebre Catechismo. Circa quest’opera, Bellarmino non disdegnò affatto di comporre un testo di facile lettura e di immediata comprensione. A tale proposito scrive: "Nell’insegnamento della Dottrina cristiana conviene aver riguardo a due cose, alla necessità e alla capacità", ovvero bisogna saper distinguere, all’interno delle verità di fede, ciò che è essenziale da ciò che non lo è, e si deve altresì tenere in debito conto il livello intellettuale e culturale dei destinatari dell’insegnamento catechistico. "Mettiamo in carta – afferma ancora – prima di tutto quello che si deve far imparare a mente con una brevissima dichiarazione; dipoi un’altra dichiarazione più copiosa per quelli che insegnano la Dottrina cristiana, la quale però sia accomodata alla capacità delle persone semplici”.

Era stato lo stesso Pontefice Clemente VIII a incoraggiare Bellarmino a comporre uno scritto divulgativo che potesse essere capito da tutti: ne scaturì il libro più diffuso della cattolicità dopo il Vangelo e l’ Imitazione di Cristo, tradotto in sessanta lingue e adottato da tutta la Chiesa per più di tre secoli. In campo filosofico, Bellarmino fu un seguace di San Tommaso d’Aquino, ma risentì anche dell’influsso di Sant’Agostino.

Assai interessante è il suo pensiero politico, fondato su di una solida dottrina del diritto naturale e all’interno del quale spicca la concezione secondo cui la potestà del governo civile ha la sua prima origine in Dio, ma viene conferita al sovrano per mezzo del popolo, che rimane, in un certo senso, depositario della radice di quella potestà. Il Nostro elaborò inoltre un’importante teoria in base alla quale distinse il potere civile da quello ecclesiastico.