
Alfredo Borgogni
Arezzo, 14 gennaio 2017 - «Qui è finita un’epoca»: Alfredo Borgogni, di mestiere abituato a dare del tu al tempo, chiude la saracinesca del suo negozio in piazza Grande. E non solo. Si congeda da 60 anni di attività e da 50 di commercio. «Ho iniziato come restauratore, alla metà degli anni ’50, e lavoravo con Ivan Bruschi: questo negozio l’ho aperto un anno prima che iniziasse la Fiera». Un sipario personale, un sipario di costume.
«E’ tramontata la cultura dell’antiquariato: un po’ per il cambiamento dei gusti e un po’ per la crisi». La sua era stata una delle prime botteghe di restauro: nel tempo gli operatori del settore erano arrivati ad essere una quarantina. «Solo io avevo cinque operai» ricorda, ripensando ai tempi di via Chiassaia. Ora chiude. «Terrò aperto come spazio mostra, non di più: e aspetto qualche offerta».
Dura da arrivare nei giorni che seguono alla gelata di Natale. Perché intorno i segni della ritirata cominciano ad essere palpabili. Sul Corso ci sono due liquidazioni per fine attività: uno alla Lidia, grande negozio di intimo all’angolo con via Cavour, e uno addirittura alla Benetton. Anche se i boatos dicono che il marchio dovrebbe comunque sopravvivere con un’altra gestione, sempre lì, in quella parte bassa del Corso, dove è in vetrina da sempre.
Ancora più giù, andando verso i Bastioni, ha chiuso Valentina: anche qui moda femminile ma che al volo, con l’agilità tipica del settore, ha virato verso un’azienda innovativa di casalinghi, che a Natale sembra essere partita con il piede giusto. In via Madonna del Prato e in via di San Francesco c’è l’anima di una strada che studia da «alter» Corso ma che soffre una rotazione costante di esercizi. In particolare nella zona alta ma non solo.
Chiude un altro antiquario storico, la «Nuova Chimera», uno dei fondi davvero storici del centro, creato da un pioniere del settore come Paolo Beucci. Anche sel'avventura commerciale della famiglia prosegue, la figlia Sherazade ha aperto una nuova attività antiquaria in piazza della Badia.
Ma nella stessa area almeno altre quattro attività sono in fase di liquidazione o di dismissione: e in qualche caso con la saracinesca già calata. E all’esterno il cartello che rimanda un numero di telefono a chi dovesse essere interessato a raccoglierne il testimone. In quel tratto di strada, forse complice la dimensione abbastanza ridotta dei fondi, le alternative in genere sono spuntate. Ma non è sempre così.
Non lo è per esempio in piazza Guido Monaco: uno dei bar di riferimento, l’ex «Pecorelli», è chiuso ormai da mesi senza che per ora emergano alternative. E l’elenco potrebbe essere lungo, ad esempio in via Guido Monaco, lato basso, dove nessuno ha ancora preso il posto di Amadeus. O in via Petrarca,dove si apre la voragine dell’ex Ares Sport. E il centro è forse la parte che resiste meglio alle folate di freddo che si alzano dai registratori di cassa.
Basta affacciarsi in via Vittorio Veneto: nel tempo era stato davvero un altro Corso, ricco di attività storiche di prestigio. Ne restano alcune ma i vuoti oggi inseguono i vuoti mentre qui come nel resto della città la gastronomia sembra essersi presa sulle spalle la missione storica di surrogare i fallimenti degli altri, di sanare gli strappi del tessuto commerciale.
Eccezioni? Nell’arco degli ultimi dodici mesi in alcuni non luoghi: la galleria ex Ipercoop, ad esempio. Trainata da aperture di importanti catene low cost ha moltiplicato le presenze nell’ultima parte dell’anno. Cifre precedute dal segno «+», quasi pezzi di antiquariato: un po’ come quelli che Borgogni ti mostra ancora con orgoglio dietro la saracinesca calata, lì, al confine tra due epoche.