
"Riceviamo ordini tutti i giorni e andiamo tranquilli alle prossime stagioni", dice Franca Binazzi, imprenditrice al timone di un’azienda che sta per compiere 135 anni, alla quinta generazione perchè al suo fianco c’è già il figlio Pietro. Dà lavoro a 18 artigiani della moda che nell’indotto diventano quaranta.
Dalla Bilò di Levane ogni giorno partono duecento capi di abbigliamento destinati alle grandi griffe che stanno concentrando commessse e attenzione sulla filiera produttiva aretina. Il fenomeno è l’opposto della delocalizzazione e la Bilò ne è testimone diretto. "E’ una tendenza sempre più diffusa, una crescita che ormai è strutturata e questo è il punto forte di un’azienda. Noi siamo una piccola realtà ma con un grande potenziale di competenza ed esperienza. E’ questa la cifra della piccola e media impresa con imprenditori costantemente a contatto con le maestranze e presenti in azienda per rispondere ai bisogni dei clienti", osserva Franca che collabora con Versace, il Gruppo Capri-Michael Kors, Dolce e Gabbana, Yves Saint Laurent, Brunello Cucinelli.
"Il fenomeno che interessa le aziende aretine e in particolare il Valdarno dopo la chiusura della Lebole, ha tuttavia un problema da affrontare una volta per tutte: non aver creato le maestranze di cui oggi le nostre aziende hanno una forte necessità", avverte Binazzi. Il punto è che le Maison dell’alta moda "chiedono un prodotto alto a livello di qualità perchè è ciò che fa la differenza sul mercato, eppure abbiamo difficoltà a individuare dipendenti con le qualifiche richieste dai clienti". Da qui discende l’urgenza, è il ragionamento dell’imprenditrice valdarnese, di "ricostruire il mondo del manifatturiero tra i giovani e far capire loro che questo è un mondo in grado di dare tanto". Il rischio è che "se perdiamo le nostre competenze e non le trasmettiamo ai giovani, perdiamo il made in Italy. In questo momento c’è una competizione interna tra le granzi aziende della moda a intercettare la mandopera specializzata che magari è stata formata in un’azienda del territorio con costi e sacrifici".
L’altra parola-chiave per governare un trend col segno più, è l’innovazione "non solo nei macchinari ma anche nel modo di pensare il ciclo produttivo. Da tempo abbiamo investito nel fotovoltaico e oggi, nonostante i rincari, autoproduciamo l’energia che serve. Sono orgogliosa dei risultati raggiunti, credo in questa azienda fondata dal mio bisnonno Pietro nel 1885 e oggi cammina anche sulle gambe di mio figlio, che porta lo stesso nome, lo stesso entusiasmo".
Lucia Bigozzi