
"Voleva formare i volontari alle manovre più delicate: porterò avanti il progetto, eravamo legatissimi". La scelta dell’emergenza nel racconto della madre. La carezza di Ilaria: "Respiravamo da un solo polmone".
"Respiravamo da un solo polmone". Lui il fratello maggiore, lei la piccolina di casa. Quasi tredici anni di differenza, ma loro erano come gemelli. Alessio Rosadi è morto a 38 anni in un incidente sulla strada, la 71, che tante volte ha attraversato con l’ambulanza a sirene spiegate nella corsa contro il tempo per salvare vite. È morto sullo stesso asfalto dove ha soccorso centinaia di persone, per un malore o le ferite di uno schianto. Un professionista del soccorso, figura di spicco del sistema 118. Ilaria ha 26 anni, tiene stretta una cassaforte di ricordi che condivide con la mamma Katia. Un vuoto enorme la perdita di Alessio che al volontariato ha dedicato tutti i suoi giovani anni, fin da quando di anni ne aveva poco più di 15. E al mondo del soccorso, ha preferito un lavoro in fabbrica, orari cadenzati, vita tranquilla. Alessio non era tipo. "Lui voleva aiutare gli altri e per questo si era specializzato con un rigore e una disciplina nello studio, impressionanti. I colleghi di tutte le associazioni di volontariato gli riconoscevano la precisione in ogni azione che intraprendeva. Era pignolo perfino nella scelta degli allestimenti in ambulanza". Undici anni in Misericordia, al fianco del "mitico" Bobbe che di ragazzi con la divisa di volontario ne ha tirati su parecchi. Ma Alessio era speciale. Il suo ultimo progetto, prima di quel maledetto incidente, era formare volontari nelle manovre più delicate di soccorso. Un progetto che abbracciava tutte le associazioni: ora camminerà sulle gambe di Ilaria e dei professionisti che l’affiancheranno. "Lo farò per custodire la memoria di mio fratello e l’esempio che è stato per tutti noi, per me in particolare. Lui era un pilastro del sistema dell’emergenza, come hanno detto anche tanti ragazzi del 118, era preparatissimo e quando non sapeva una cosa, si informava prima di parlare. Il soccorso era il suo mondo". Ed è lo stesso di Ilaria che lavora in Misericordia e con Alessio ha spezzato tante notti di turno nel quartier generale del soccorso. "Capitava di fare la notte insieme nelle rispettive associazioni, e ci davamo appuntamento al bar all’alba per la colazione". Ma Ilaria ricorda anche i momenti più intensi degli interventi in ambulanza, vissuti fianco a fianco con Alessio, da due anni nella grande famiglia della Croce Rossa. "Era un ragazzino e un giorno mi disse: mamma io mi licenzio dalla fabbrica e vado a lavorare nel volontariato, in Misericordia. Io ero perplessa ma lui è sempre stato molto determinato nelle sue scelte", rievoca Katia la mamma che ha tirato su due figli da sola rimboccandosi le maniche. Due figli molti uniti, stesso lavoro e pure stesse passioni: "La moto, anzitutto: un mese fa sono smontata dal turno di notte e insieme siamo andati in moto a Misano per il campionato di superbike. Per me Alessio è stato non solo un fratello ma anche un padre". Eppoi il chiodo fisso della caccia: "Partecipavamo alle battute con le squadre dei cacciatori o da soli. Una volta era freddissimo e dovevamo catturare con le reti le lepri per ripopolare una zona: avevo le guance arrossate e lui disse: mi sembri Sven. E io: e tu mi sembri Olaf. Sono i personaggi di un cartone animato che ci piaceva, e da quel giorno sono diventati i nostri soprannomi". Nella cassaforte dei ricordi, Ilaria tiene il sorriso di Alessio e la sua eredità morale: "Mi ha insegnato a non abbattermi anche di fronte alle giornate più difficili. Mi ripeteva, dai andiamo avanti, ne vale sempre la pena".