
Palazzo Cavallo dove si tentò il furto
Arezzo, 8 giugno 2025 – Era il 20 aprile del 1915 e l’aria di Arezzo sapeva già di guerra imminente. Mentre i primi soldati si preparavano a partire, la città continuava, per quanto possibile, a vivere: i grammofoni gracchiavano inni patriottici nei caffè, lungo le strade nuove ci si fermava a parlare, e il Teatro Petrarca richiamava spettatori. Non tutti, però, potevano permettersi questi piccoli piaceri: qualcuno, nell’attesa inquieta della tempesta, pensava piuttosto a come approfittarne.
Il giornale L’Appennino, con tagliente ironia, commentò l’accaduto: “Se il Comune non ha i soldi nemmeno per far cantare un cieco, come mai c’è chi pensa di trovarci un tesoro?”. E rincarava la dose, ringraziando i ladri per la fiducia riposta nelle casse comunali.
La Tesoreria, d’altronde, non era certo sguarnita: cassaforti, sistemi di sicurezza degni di una banca, e tutto ospitato a Palazzo Cavallo, l’attuale sede del Comune.
Sul lato di via Ricasoli si trovava anche l’Arsenale dei Pompieri, con ampie rimesse e una porticina sgangherata autonoma che, oltre a dare accesso all’Arsenale, conduceva anche ad altri locali del palazzo.
Quella notte, i malviventi agirono con meticolosa freddezza, armati di tutto punto. Secondo la Polizia Scientifica di Roma – fondata da poco più di dieci anni per iniziativa di Salvatore Ottolenghi, allievo di Lombroso – il loro piano era stato studiato nei minimi dettagli. Il procuratore del Re di Arezzo, il Cavaliere Avvocato Andreoli, non esitò a telegrafare alla Scuola di Polizia Scientifica, chiedendo rilievi e accertamenti. Dopo la mezzanotte, cinque pompieri, terminato il servizio al Teatro Petrarca, rientrarono in sede. Uno di loro, infilando la chiave nella porticina di via Ricasoli, si accorse che qualcosa non andava: la serratura era stata forzata e, dopo vari tentativi, fu costretto a sfondare la porta.
All’interno, scoprirono che la serratura era stata richiusa con un grimaldello e bloccata con una vite, così da non lasciare tracce evidenti all’esterno: un tocco di astuzia Capirono subito che qualcuno era dentro, e si precipitarono lungo le scale fino al pianerottolo, dove trovarono la vetrina degli uffici comunali aperta dall’interno con un ingegnoso stratagemma.
I ladri, per evitare rumori, avevano attaccato con una colla fortissima un grande foglio di carta bagnato su uno dei vetri; successivamente avevano rotto il vetro in modo che i frammenti, trattenuti dalla carta, erano stati rimossi silenziosamente. Da lì, uno aveva infilato il braccio per aprire la stanghetta. Un metodo semplice e intelligente. I pompieri, vista la situazione, chiamarono il custode Ceccherini e svegliarono anche il piantone municipale.
Constatarono che la porta-vetrina era stata infranta e, davanti alla porta della Tesoreria, rimasero senza parole: su un tavolo, ordinati come per un’operazione chirurgica, erano allineati attrezzi da scasso: sega circolare, trapani, grimaldelli, lime, cacciaviti, martelli.
Un vero arsenale da professionisti. La porta della cassaforte presentava ventiquattro fori, alcuni proprio vicino alla serratura, ma nessuno era riuscito a sfondarla. Intanto, ci si accorse che la porta su via Cesalpino era spalancata: era da lì che i ladri erano fuggiti, lasciando tutto alle spalle. Le indagini, anche grazie alla Polizia Scientifica, portarono a scoprire che una sentinella delle carceri aveva notato tre uomini passare in fretta da via degli Albergotti, ma non diede loro peso. Secondo il Codice Zanardelli del 1889, i ladri avrebbero rischiato l’accusa di “furto qualificato”, aggravato da violenza sulle cose, destrezza, uso di strumenti e il tentativo in un ufficio pubblico.
Tuttavia, dato che il furto non era stato portato a termine, il codice dell’epoca valutava solo l’idoneità dei mezzi usati, non degli atti compiuti, a differenza del codice penale di oggi.
Nel corso delle ricerche venne ritrovato un lungo palo di ferro nonchè identificato il venditore di carta e colla, materiali identici a quelli usati dai ladri.
L’indagine fu accurata, ma i malviventi ebbero gioco facile grazie alla loro preparazione e a qualche leggerezza da parte del personale comunale e della sentinella che non fermò i sospetti. Il delegato Maggiulli, con la guardia Vespo – fotografo della polizia – esaminò meticolosamente la scena, fotografò la porta della Tesoreria, rilevò alcune impronte su frammenti di vetro sequestrati dalla pubblica sicurezza.
I confronti, tuttavia, non portarono risultati: nessun responsabile fu trovato e, a distanza di anni, all’Archivio di Stato di Arezzo non esiste traccia di un fascicolo che abbia mai portato a processo i colpevoli.