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Arezzo, 1 novembre 2019 - «I lavoratori dell’Archivio non sono esposti ad agenti chimici nello svolgimento dell’attività lavorativa». Parola del Documento di valutazione del rischio che regolava e regola la normativa di sicurezza all’interno dell’ufficio in cui lavovano Piero Bagni e Filippo Bruni, i due dipendenti morti asfissiati nella tragedia del 20 settembre 2018. La citazione (testuale) è riportata a pagina 133 (quasi in fondo) della superperizia redatta dagli ingegneri Antonio Turco, Luca Fiorentini e Luca Marmo e dice molto, quasi tutto, di come fosse stato sottovalutato il pericolo dell’Argon, ossia il gas che spegne sì gli incendi ma fagocita anche l’ossigeno, rendendo l’aria irrespirabile.
E’ vero, dunque, che nell’attività quotidiana chi lavorava (o lavora) a Palazzo Camaiani-Albergotti ha a che fare specificamente con documenti storici, ma è anche vero che stava seduto sopra una specie di «bomba», ossia le bombole di Argon conservate nel bugigattolo al seminterrato, gli agenti chimici appunto di cui il Documento di Valutazione del Rischio nega l’esistenza.
Una pesante sottovalutazione che è forse costata la vita a Piero e Filippo, perchè se viene ignorato il pericolo finisce che anche le misure di sicurezza e la formazione del personale possono diventare inadeguate. Non a caso, il direttore Claudio Saviotti (indagato), il personale e anche le vedove hanno lanciato l’allarme a più riprese: nessuno ci ha mai detto che l’Argon era un gas letale.
Raccontano anzi fonti interne che nei corsi di formazione dei dipendenti qualcuno avesse domandato degli effetti del gas e che un relatore avesse risposto che lui era ancora vivo dopo averlo respirato. Il che dà l’idea di una situazione in cui non c’era piena consapevolezza del pericolo. Ma a chi sta redigere il Documento di valutazione rischi (Dvr)? Al datore di lavoro, dice il testo unico sulla sicurezza del 2008.
Già, ma chi era il datore di lavoro? Nella prima pagina del Dvr, che La Nazione ha avuto modo di visionare, in tale veste figura Saviotti, il direttore, mentre la carta intestata è quella del ministero dei beni culturali e di Igeam, il gruppo al quale la struttura governativa si era affidata in materia di sicurezza e formazione degli archivi, nel cui organico figurano alcuni indagati, fra cui l’architetto Monica Scirpa che firma come responsabile del servizio di prevenzione e protezione (Rspp).
Tuttavia, secondo i superperiti nominati dal Pm Laura Taddei titolare dell’inchiesta per omicidio colposo plurimo, ci sono molte perplessità sul fatto che Saviotti potesse essere il datore di lavoro, gli mancano alcune delle caratteristiche come l’autonomia di spesa. Le indagini, insomma, potrebbero risalire a un livello più alto. Il rischio incendi per l’archivio di stato veniva classificato come medio.
E però, sempre secondo i consulenti del Pm, «la valutazione, pur classificando il rischio, tradisce completamente i criteri di cui all’allegato 1». Che significa? Pare di capire che nel sistema di controlli molto non abbia funzionato. Infine un altro punto della legge: «I lavoratori non effettuano alcuna attività in ambienti sospetti di inquinamento o confinati».
Ma, scrivono Turco & C., «tale affermazione risulta in contrasto con l’architettura e il principio di funzionamento dell’impianto di spegnimento che comprende un ambiente ’deposito bombole’ interrato e senza aerazione...viziato da un grave errore tecnico in quanto si era optato per il posizionamento della valvola di sicurezza e del relativo punto di scarico all’interno del deposito bombole».
Si torna sempre lì, alla valvola guasta e allo sfiatatoio che manca. L’inchiesta si annuncia ancora lunga e complessa, ma una cosa è certa: l’impianto dell’archivio era una trappola.