
Liletta
Fornasari
Onde Michelangelo ragionando col Vasari una volta per ischerzo disse: Giorgio s’i’ho nulla di buono nell’ingegno, egli è venuto dal nascere nella sottilità dell’aria del vostro paese d’Arezzo". Con questa celebre e scherzosa frase riportata da Vasari nella seconda edizione delle Vite nel 1568, inizia il racconto di cento anni di storia dell’operosità creativa del territorio aretino dal 1856 al 1954 attraverso le fotografie conservate negli Archivi Alinari di Firenze e ora esposte alla Casa Museo Ivan Bruschi fino al 7 maggio 2023 con la curatela di Rita Scartoni insieme a Muriel Prandato.
Sono testimonianze di una terra di contadini, lavandaie, pastori, monaci, di donne e di uomini "di ingegnosa laboriosità", in un contesto paesaggistico interessante e nell’ambito di una società in trasformazione con l’inizio di iniziative industriali. Leopoldo Alinari (1832-1865) con i fratelli Giuseppe (1836-1890) e Romualdo (1830-1890) avviarono a Firenze un piccolo laboratorio fotografico nel calcografo Luigi Bardi. Nel 1856 Bardi pubblicò il primo catalogo dei soggetti disponibili per la vendita, una Collection de vues monumentales de la Toscane en Photographie par le Fréres Alinari. Un centinaio di fotografie, di cui faceva parte già il primo soggetto dedicato al territorio aretino, la "Chiusa delle Chiane", una grandiosa visione ad anfiteatro con la quale Leopoldo Alinari dette avvio allo "stile" Alinari. "Una costruzione dell’immagine ispirata a criteri compositivi di simmetria, assialità e ordine prospettico sotto una luce diffusa che esalta ogni piccolo dettaglio", come scrive Rita Scartoni. Alla fine degli anni Cinquanta dell’Ottocento in Alinari confluirono anche gli archivi degli stabilimenti fotografici Brogi e Anderson facendo sì che tre grandi "fotografi editori", come essi stessi si definivano, si trovarono riuniti, iniziando una monumentale opera di documentazione del patrimonio culturale e paesaggistico italiano, contribuendo alla costruzione di un’identità nazionale e rendendo accessibile in tutto il mondo la conoscenza dei nostri principali musei, nonché del paesaggio.
Come gli Alinari anche il fiorentino Giacomo Brogi (1822-1881) iniziò l’attività di fotografo, dopo avere avuto esperienze in campi diversi come incisore e ritoccatore.
Dopo avere avviato la società Giacomo Brogi Fotografo, dette inizio a riprese d’arte, di paesaggio e costume in Italia, in particolare in Toscana, dedicandosi anche al ritratto e riscuotendocosì grande successo da essere nominato Fotografo di Sua Maestà il re Umberto I.
Alla morte di Giacomo, la società passò al figlio Carlo (1850-1925) che fu capace di consolidare la dimensione industriale. Una delle categorie che portarono la ditta Brogi a ricevere il primo premio alla Melbourne International Exhibition del 1880 e del 1881, fu quella del paesaggio dedicandosi anche per il territorio aretino ad immagini rurali, dove fondamentale è il lavoro delle donne e degli uomini.
Emerge un contesto rurale "connotato da una grandiosa discontinuità paesaggistica" con un sistema di vallate delimitate da colline e da montagne, nonché "punteggiate da testimonianze medievali". Anche in casa Alinari, alla morte di Leopoldo, la gestione della ditta passò ai fratelli Giuseppe e Romualdo. A questo periodo risale il "Toro svizzero" fotografato a Pratovecchio nella tenuta dell’ex Granduca. La conduzione successiva fu affidata a Vittorio Alinari (1859-1932), figlio di Leopoldo. Prende le redini della ditta alla morte degli zii. Imprenditore illuminato, si rivelò capace di rispondere alle necessità dell’editoria d’arte e di viaggio a livello internazionale. Le fotografie esposte sono testimonianza dei suoi interessi personali.
Nel 1909 fu pubblicata a Firenze dai Fratelli Alinari l’opera L’Arno di Vittorio Alinari e Antonio Beltramelli con prefazione di Isidoro del Lungo. Seguendo l’itinerario del fiume, Vittorio eseguì personalmente le fotografie. Sono quest’ultime immagini in cui, oltre a riferimenti alla contemporanea fotografia pittorialista, non mancano riferimenti alla pittura macchiaiola, come L’Arno a Montevarchi. Il viaggio di Vittorio Alinari prosegue con L’Arno a Giovi e L’Arno a Ponte Buriano. Spettano alla fase di Vittorio le immagini dello Stabilimento Buitoni di Sansepolcro.
Il racconto del territorio aretino, i cui soggetti sono sempre più frequenti dal 1878, ha in mostra un capitolo importante nelle fotografie conservate in Miniere di lignite del Valdarno, un album datato 1917 e realizzato per la visita dell’onorevole Roberto de Vito alle Miniere Lignifere Riunite e Società Mineraria ed Elettrica del Valdarno. Nel 1917 erano attive 20 miniere.
La lignite, l’Oro Nero di Cavriglia, è la protagonista di fotografie di cui si ignora l’autore. L’industria mineraria ha trasformato il paesaggio e la popolazione. Minatori, picconi, gallerie e binari raccontano come dalla fine dell’Ottocento il Valdarno avesse imparato a convivere con le cave e come gli agricoltori avessero sostituito la zappa con il piccone. Dopo la Ferriera di San Giovanni, entrata in funzione nel 1873, nel 1905 nacque la Società Mineraria ed Elettrica del Valdarno, controllava 273 ettari di terreno e arrivò a coprire quasi del tutto il fabbisogno elettrico di Firenze, Arezzo e Siena. Un altro pezzo di storia è quello raccontato da Aurelio Monteverde (1872-1934), figlio dello scultore Giulio Monteverde. Aurelio ha vissuto fino al 1915 a Catania come direttore della società belga delle Tranvie. La figlia Maria Cecilia sposò Francesco Cammarata e grazie alla donazione Cammarata, nel 1991 l’Archivio Monteverde passò agli Archivi Alinari. Aurelio era appassionato di auto e dopo essersi trasferito nella villa Il Mulino a Rovezzano, installò una camera oscura e iniziò ad organizzare gite sulle strade della Toscana.
La comitiva scanzonata e allegra fece tappa in Casentino, arrivando alla Verna, a Poppi e a Camaldoli. Le fotografie fatte, dando così inizio alla fotografia amatoriale, sono appunti di viaggio di giovani molto disinvolti che posano tra le merlature del Castello di Poppi o "strappano un sorriso ai riluttanti monaci di Camaldoli". Sono queste testimonianze di una società in trasformazione, quale è stata quella di inizio Novecento.