
di Salvatore Mannino
In una città di tesori è il tesoro più prezioso. Pochi altri cicli di affreschi, in Italia e nel mondo, hanno la fama e il fascino della Leggenda della Vera Croce che Piero della Francesca dipinse nella Basilica di San Francesco, a un tiro di schioppo dalla Città di Natale e dal Mercatino Tirolese, fra la metà degli anni ‘50 del XV secolo e il 1466. Solo la Cappella Sistina di Michelangelo, il ciclo di Giotto nella Basilica francescana di Assisi, la Cappella degli Scrovegni dello stesso Giotto a Padova e pochi altri.
Non è stato sempre così, perchè Piero, il più misterioso dei grandi artisti del Rinascimento, è stato anche l’ultimo a essere riscoperto, fra la metà dell’800 e i primi del ‘900. Figurarsi che in Età Napoleonica volevano distruggere il ciclopertrasformare San Francesco in quel grande teatro cittadino che divenne poi l’antistante Petrarca. Ci vorranno i viaggiatori del Grand Tour del XIX secolo e alcuni grandi critici del XX, come Roberto Longhi e Adolfo Venturi per valorizzare a pieno ill maestro di Sansepolcro, genio anche di geometria e matematica. Gli affreschi hanno suscitato la meraviglia di giganti come Balthus, uno dei grandi artisti del ’900, e il Nobel Albert Camus.
La committenza degli affreschi è simile a quella della Cappella degli Scrovegni: una grande famiglia di mercanti aretini, i Bacci, che vogliono mendarsi dal peccato di usura in cui all’epoca veniva a volte etichettato il commercio. E’ per questo Baccio di Maso Bacci prevede a testamento un lascito per la decorazione del coro, quella che diventerà appunto la Cappella Bacci, di San Francesco. Ci vorranno altri trent’anni perchè un discendente, Giovanni, affidi l’incarico a Piero, che continua il lavoro cominciato da un più modesto pittore locale, Bicci di Lorenzo. In meno di dieci anni ne nascerà un capolavoro assoluto, la traduzione in immagini per il popolo, in gran parte allora ancora analfabeta, di una grande opera medioevale, la Legenda Aurea di Iacopo da Varagine, in cui rientra appunto anche la Storia della Vera Croce, ossia la storia di come il legno della Croce di Cristo tsia tratto dall’albero della conoscenza di Adamo e venga ritrovato da Sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino, per essere poi ricollocato a Gerusalemme.
Tutto ciò Piero della Francesca lo realizza in scene di straordinaria potenza narrativa e suggestiva forza geometrica. Si comincia dunque dalla morte di Adamo, si prosegue con la Regina di Saba che ritrova il sacro legno in un ponte e si sottomette a Re Salomone e si va avanti con Sant’Elena che si pone alla ricerca della Croce sepolta dopo la morte di Cristo. Sarà suo figlio Costantino a vincere la battaglia di Ponte Milvio contro Massenzio nel segno della Croce apparsagli in sogno e sarà un’altra battaglia, quella del bizantino Eraclio contro il persiano Cosroe a segnare il ritorno della Croce a Gerusalemme.
Ma non c’è descrizione che possa rendere la bellezza di quanto Piero ha affrescato. Bisogna vedere dal vivo. Avendo in mente ciò che Massimo Cacciari disse di un’altra opera di Piero, la Resurrezione: è l’ultima cosa che correrei a vedere prima della fine del mondo. Vale anche per gli affreschi.