A un anno dal terremoto, il ricordo indelebile di quella notte che sconvolse l'Umbria

Orvieto ricorda Barbara e Matteo, morti sotto le macerie dell'Hotel Roma di Amatrice

La distruzione del terremoto a Norcia

La distruzione del terremoto a Norcia

Orvieto, 23 agosto 2017 - Norcia un anno dopo. Domani il primo anniversario del terremoto del 24 agosto 2016. Un giorno indelebile nelle memoria delle città umbre, Castelluccio e Norcia in testa. Che verrà ricordato per paura e distruzione. Non ci sono state vittime in Umbria, ma l'Umbria ha avuto le sue vittime. Una famiglia di Todi, Floriana Svizzeretto, la coppia di Orvieto. Morti sotto le macerie di Amatrice. Orvieto domani si prepara ricordare Barbara Marinelli e Matteo Gianlorenzi, che persero la vita nel crollo dell'Hotel Roma. In accordo con le famiglie della coppia, l'amministrazione comunale e la Protezione civile dell'area sud-ovest-orvietano li ricorderanno in due distinte iniziative. La prima è una cerimonia religiosa promossa proprio dalle famiglie, prevista domenica alle 11 presso il Convento di Padre Chiti. Mentre la prossima settimana, in una pubblica iniziativa nella sala consiliare, Barbara e Matteo verranno ricordati da amici e cittadini in un incontro che sarà anche l'occasione per illustrare le tante iniziative promosse dall'Associazione 3.36, fondata in memoria dei due giovani. Sulla terrazza del Comune di Orvieto verrà esposto uno striscione, sempre in loro ricordo.

Per l'anniversario del terremoto, i frati di Assisi domani dedicheranno la preghiera del mattino e le celebrazioni eucaristiche alle vittime e alle famiglie colpite dal sisma. 

Ma ripercorriamo quella terribile notte. Sotto la testimonianza raccolta da Chiara Santilli

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NORCIA – SONO LE 3.36 di notte del 24 agosto 2016 quando la terra inizia a tremare. Maria Giorgi è nella sua abitazione di San Pellegrino, poco distante da Norcia. Il ricordo di quel momento è ancora vivo. Impossibile dimenticare.

«ERO SVEGLIA», racconta la donna. «Mi sono alzata per andare in bagno e quando sono tornata a letto ho sentito il materasso dondolare. All’inizio pensavo a una scossetta, poi però era sempre più forte. Ho provato ad alzarmi, mi sono aggrappata al termosifone. Credevo fosse la fine, è durata un’eternità». Sono passati dodici mesi, ma ripercorrere con la mente quegli attimi non è per niente facile. «Con me c’erano mio marito e mio figlio – continua Maria –, ci siamo presi per mano e siamo andati verso la porta, ma non si apriva. È stata la nostra fortuna perché il comignolo era caduto davanti all’uscio, bloccandolo. Siamo usciti dalle scale esterne, fuori un gran polverone e la gente strillava. Mio marito ha dovuto rompere la recinzione con le tenaglie e siamo scappati da lì. Vicino a noi una famiglia venuta da Roma per l’estate: mamma, figlia e due nipotini. Gridavano dalla paura». Ma la vera batosta è arrivata il 30 ottobre. «Uh, per carità, non me lo faccia ricordare», dice Maria. «Già prima, con le scosse del 26 ottobre, abbiamo vissuto le pene dell’inferno. Siamo passati – continua – da un hotel all’altro e abbiamo dormito anche in macchina. La mattina del 30 eravamo in un albergo in centro storico. Siamo scappati di corsa con i calcinacci addosso, fuori i sassi cascavano dappertutto. Siamo stati i primi a fuggire da Norcia, in auto. Giunti a Perugia soltanto con il pigiama, le ciabatte e la polvere nelle orecchie. Io avevo pure una gamba ferita, ma mica me ne ero accorta. Quando il terrore ti costringe a muoverti non senti il dolore fisico».

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OGGI MARIA vive in una delle casette realizzate a ridosso del paese, tra i più colpiti dalla furia della terra.

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CON UN SALTO indietro nel tempo anche Paola Coccia, nursina, racconta la sua esperienza. «Stavo dormendo – ricorda – quando la scossa mi ha svegliato. Io e mio marito abbiamo preso le nostre figlie, di 7 e 13 anni, e siamo scappati dal palazzo. Non ho provato terrore, ha prevalso la razionalità. Di quella notte però mi ha impressionato vedere i turisti e la gente in strada con le coperte addosso. La città in quel periodo era strapiena». Nel frattempo per Paola e la sua famiglia, sfollata dal 30 ottobre, è arrivato il momento di ricevere la Sae, soluzione abitativa di emergenza, in zona Opaco. «Forse già domani», dice con la voce rotta dall’emozione.