Strage di Viareggio, la rabbia dei parenti delle vittime: "Sette gradi di giudizio. È una presa per i fondelli"

Le parole a caldo di Daniela Rombi all’uscita dal “Palazzaccio“ di Roma. Marco Piagentini: "È stata riconosciuta la responsabilità di tutti"

Un gruppo di familiari della strage ferroviaria di Viareggio

Un gruppo di familiari della strage ferroviaria di Viareggio

Roma, 16 gennaio 2023 – Quattordici anni e mezzo, scanditi dall’attesa, delle udienze, trascorsi nelle aule dei tribunali, "ad aspettare solo questo momento". E il momento della verità è arrivato ieri quando, alle 21, i giudici della Suprema Corte di Cassazione hanno letto la sentenza che conferma la condanna per i 13 imputati nel processo per la strage di Viareggio.

Strage di Viareggio, i familiari delle vittime davanti alla Cassazione

«Sono tutti condannati" ha detto Marco Piagentini scendendo le scale del Palazzaccio dopo una giornata che racchiude una vita. Quella che un treno carico di Gpl, la notte del 29 giugno, gli ha stravolto. Prendendosi la sua famiglia, la moglie Stefania e i figli Luca e Lorenzo. Lasciandolo solo, a crescere il piccolo Leonardo che oggi è un uomo. "Vogliamo capire il senso del dispositivo, ma una cosa è certa: sono state riconosciute le responsabilità di questo disastro" ha ribadito il presidente dell’associazione “Il mondo che vorrei“. Perché non si perda la portata di una sentenza "che impone di ripensare alla sicurezza del trasporto ferroviario".

Ma dopo quattordici anni e mezzo il tempo dell’attesa, delle udienze, dei tribunali, per i familiari delle 32 vittime di quella notte non è ancora finito: "Dovremo tornare per la terza volta di fronte alla Corte d’Appello – limitamente alle attuanti generiche riconosciute dai giudici ermellini per undici dei tredici dei condannati –. Mi chiedo quale altro processo abbia affrontato sette gradi di giudizio. È una presa per i fondelli, siamo la barzelletta d’Italia" tuona Daniela Rombi . Non ci sono più nemmeno le lacrime. Ma c’è tutta la stanchezza e il peso che questi anni hanno scavato nella sua esistenza. "Ricordo ogni giorno quella sera del 29 giugno, quando mia figlia Emanuela con il suo sorriso mi salutò", prima di andare a casa dell’amica Sara Orsi in via Ponchielli. “Ciao mamma, ci vediamo domani in ufficio“ , furono le ultime parole. "L’ho rivista dentro una camera sterile nel reparto grandi ustionati, c’erano 38 gradi e lei aveva freddo". Emanuela morirà, a 21 anni, dopo 42 giorni di lotta. Il suo sorriso è rimasto lì, tra le immagini che fissano la vita prima che la morte piombasse come una bomba sulle case, nelle fotografie che hanno accompagnato la battaglia dei familiari in questi anni.

Anni di fiaccolate e preghiere. Di udienze, e di altri dolori. Anni che hanno cancellato, con la prescrizione, tre reati – lesioni, incendio e omicidi colposi –; ed è rimasto solo il disastro ferroviario colposo a reclamare verità. "E quello, visto che i ricorsi sul merito sono stati rigettati, non potrà più cancellarlo nessuno. Grazie ai ferrovieri e ai viareggini – conclude Rombi – abbiamo fatto tutto quello che potevamo per ottenere un brandello di giustizia. E restituire dignità a 32 persone uccise da un treno che viaggiava senza manutenzione né controlli, mentre credevano di essere al sicuro nelle loro case".