Strage di Viareggio, "Moretti ed Elia non hanno colpe per la velocità del treno"

Il 29 giugno del 2009 ci furono trentdue morti arsi vivi nella zona di via Ponchielli. Al processo bis restano le condanne per disastro ferroviario, lesioni e incendio

Il carro deragliato (foto Aldo Umicini)

Il carro deragliato (foto Aldo Umicini)

Viareggio (Lucca), 22 settembre 2022 - L’ex ad di Rfi e Ferrovie dello Stato, Mauro Moretti, e Michele Mario Elia, capo direzione tecnica e quindi ad di Rfi, non ebbero colpa della mancata riduzione della velocità del treno merci che il 29 giugno 2009 deragliò nella stazione di Viareggio causando un rogo e 32 morti. Così le motivazioni della corte di appello di Firenze alla sentenza al processo bis del 30 giugno con condanne per disastro, lesioni e incendio di Moretti a 5 anni e di Elia a 4 anni 2 mesi 20 giorni. Non è provata la «valenza cautelare» di una determinata velocità di transito in stazione, «va pertanto escluso per gli imputati questo profilo di colpa». In capo a Moretti e agli altri dirigenti delle Ferrovie resta però l’accusa di disastro ferroviario colposo per non aver disposto controlli adeguati sui treni noleggiati all’estero trasportanti merci pericolose.

Trentadue morti bruciati vivi nelle loro case, un quartiere distrutto, una città ferita. Viareggio non dimenticherà la terribile notte del 29 giugno 2009 per la quale il processo d’Appello bis di Firenze il 30 giugno ha sancito 13 sentenze di condanna e tre assoluzioni. Condanne che hanno riguardato i vertici aziendali delle Ferrovie dello Stato e delle altre aziende italiane e straniere coinvolte. Su tutti l’ingegner Mauro Moretti, che all’epoca era il Dominus delle ferrovie italiane. Secondo ormai quattro gradi di giudizio lui e gli altri dirigenti dell’epoca sono responsabili del disastro ferroviario (unico reato non caduto in prescrizione dopo 13 anni) "per aver immesso – si legge nelle motivazioni dei giudici – nella rete ferroviaria nazionale un treno preso a noleggio dall’estero saltando ogni forma di controllo documentale, cabotaggio, verifica della sua storia manutentiva". Mauro Moretti , difeso dall’avvocato Ambra Giovene, è stato condannato per questo a cinque anni dalla Corte d’Appello.

Avvocato Giovene, che idea si è fatta dopo la sentenza e alla luce delle motivazioni della Corte?

"Che è stata una sentenza politica. Nel senso che sono stati condannati alla fine di tanti anni di processo solo ed esclusivamente gli amministratori delegati delle società".

Perché, a suo avviso?

"Perché è più facile colpire un amministratore delegato piuttosto che trovare un vero responsabile all’interno delle aziende. E, guardi, questo è un discorso generale che non vale solo per il processo di Viareggio. E’ una questione di politica giudiziaria, se così vogliamo dire".

Tornando alle motivazioni, cosa emerge a suo avviso?

"Nelle motivazioni c’è la certificazione che Moretti viene scagionato dall’ultima delle più gravi colpe che gli venivano imputate, cioè quella della velocità del treno. E’ stato un tema dibattuto a lungo durante le varie fasi del processo. La procura e le parti civili hanno cercato di dimostrare in tutti i modi, anche tramite consulenti, che la ridotta velocità avrebbe evitato la tragedia. Invece nelle motivazioni si legge chiaramente che né la scienza né l’esperienza hanno mai dimostrato, né avrebbero potuto farlo, che una riduzione della velocità avrebbe evitato il disastro. E questo per noi è motivo di soddisfazione".

Però nelle motivazioni si imputa a Moretti di aver permesso che un treno che trasportava merci pericolose circolasse senza alcun controllo preventivo. Che ne pensa?

"In realtà è un tema articolato ed è vero che è l’unico aspetto rimasto. Le motivazioni però non entrano nel merito, glissano sull’argomento, appiattendosi sulle valutazioni che aveva già fatto precedentemente la Cassazione. Il tema è stato così completamente eluso".

Ci sono comunque ampie pagine dedicate alle omissioni imputate ai vertici aziendali sul fronte dei mancati controlli...

"Ma senza entrare nel merito della vicenda. In sostanza i giudici della Corte d’Appello rilevano l’esistenza di una prassi aziendale voluta da Moretti in cui si imponeva di non tracciare i carri che arrivavano dall’estero. Ma negli atti non c’è la benché minima prova di questa accusa. Non una sola prova. I giudici sono in contrapposizione perfino con gli argomenti della Procura Generale che hanno escluso categoricamente l’esistenza di un’imposizione dei vertici intesa deliberatamente a trascurare la sicurezza. Sembra una paradosso, ma è così. Per l’ingegner Moretti vi è agli atti del processo la prova del contrario e su questo la sentenza tace. L’abilità giuridica non può, non deve, trascurare i fatti. E i fatti danno ragione a Moretti".

Si aspettava una condanna più mite dei cinque anni?

"Le attenuanti generiche portano alla riduzione di un terzo della pena. Nel caso di Moretti, invece, è stata applicata solo la riduzione di un nono. Eppure stiamo parlando di un uomo incensurato e che è sempre stato presente alle udienze".

Farete ricorso in Cassazione? E con quali speranze?

"Certo che faremo ricorso. E non sarà solo tanto per farlo. La Cassazione non entra nel merito del processo, ma credo che ci siano i margini per commisurare la pena rispetto ai dati emersi in processo trovando un più giusto equilibrio".