
La soprano Maria Agresta questa sera sul palco del Festival Puccini
Nel 2012 Maria Agresta regalò al pubblico del Gran Teatro Puccini di Torre del Lago una memorabile Mimì. Adesso, dopo 13 anni, torna a calcare lo stesso palcoscenico in un ruolo ancor più temerario: quello della sfortunata geisha Cio Cio San. Madama Butterfly debutta questa sera alle 21.15 come quarto e atteso titolo del 71° Festival Puccini.
Come mai ha aspettato tanto ad affrontare Madama Butterfly?
"È un ruolo che ho debuttato nel 2022, ma lo studio risale a tanti anni fa. Sapevo che l’impegno sarebbe stato particolarmente gravoso non solo sotto il profilo tecnico e interpretativo ma soprattutto sotto quello emotivo. La mia guida è stata la grande Raina Kabaivanska e il percorso è stato assai complesso. Non riuscivo ad andare avanti: le parole e la musica mi portavano al pianto. Non riuscivo a trovare la chiave per la giusta interpretazione. Lo studio si è protratto negli anni: forse mancava ancora qualche tassello di maturità personale. Ho spesso chiesto a Raina come riuscisse a non farsi travolgere da questa emozione. In realtà non è possibile affrontare Butterfly con distacco, altrimenti non se ne comunica pienamente la profondità".
Quella di Butterfly è una vicenda impossibile: lei che attende invano, si rifiuta di prendere coscienza dell’evidenza dei fatti, rinuncia al figlio e si uccide: non è un po’ troppo nel terzo millennio?
"Tutto sommato credo di no. Butterfly è poco più che una bambina: è talmente pura, ingenua, fedele a se stessa e al suo amore che non sa cogliere nessun suggerimento. Il figlio rappresenta sì una ragione di vita ma anche la prova dell’esistenza di un amore. Per questo lei porta all’estremo il suo senso di lealtà e di sacrificio. Attraverso la musica Puccini ce la rende reale: lei vive la separazione da Pinkerton soffrendo ma sperando, e la musica dell’attesa del suo ritorno è devastante. Quando alla fine prova il dolore vero, quello dell’abbandono, non ha altra scelta che suicidarsi. Mi chiedo sempre fino a che punto io possa spingermi nell’interpretazione. Possiedo un senso fortissimo del rispetto della volontà dell’autore, però poi rifletto sul fatto che Puccini era uno che viveva di pancia, di emozioni, di fisicità; uno che voleva che nell’interpretazione si spendesse tutto ciò che si è".
La Kabaivanska proprio in Butterfly è stata negli anni Settanta la regina incontrastata degli anni d’oro del Festival Puccini. Come vive il confronto?
"Le sono immensamente grata. È stata non solo un’insegnante ma anche l’amica che c’è sempre, una specie di mamma che sa sempre darti la parolina giusta ma anche il rimprovero al momento giusto. A lei devo l’aver ritrovato fiducia in me stessa. Mi sono affidata completamente a lei, ma mi ha ripagata con la sua amorevolezza, le sue attenzioni, i suoi insegnamenti, la sua estrema generosità. Ogni sera do tutto quello che posso".
Chiara Caselli