Sono arrivata a Varanasi su un treno notturno in ritardo di tre ore, una bazzecola per essere la stagione dei monsoni. Il tempo in India è relativo, è meglio capirlo subito per non perdere la pazienza a ogni imprevisto, la mente è già impegnata a elaborare lo shock culturale, a gestire l’impotenza. La città nel primo trambusto del mattino è un mostro che ti fagocita e ti risputa nel traffico immobile,
un tetris di corpi macilenti, di occhi curiosi in cerca dell’affare che svolti la giornata. Tutti trovano una soluzione a problemi che non sapevi nemmeno di avere, una proposta per un desiderio che non hai ancora maturato, un unguento per curare malattie immaginarie. Sui ghat, i gradoni di cemento che digradano nel Gange ingrossato dalle piogge degli ultimi giorni, un ammasso di turisti affamati di racconti e foto ricordo si scapicollano per un posto in prima fila. Il Gange scorre testimone muto della vita e della morte di milioni di induisti che si rimettono al destino del fiume, che sperano di mescolare le molecole con l’acqua per liberarsi finalmente dal ciclo delle reincarnazioni.
Il caos primordiale dei vicoli è snervante, il via vai di anime in pena è amplificato dai clacson mai stanchi, dagli ingorghi creati dai risciò guidati da vecchi ossuti con gli occhi arrossati dallo sforzo. Cammino senza mai staccare gli occhi da terra, sto interi minuti senza il coraggio di alzare la macchina fotografica all’altezza dell’occhio, prima di immortalare voglio capire.
Ha senso macinare tutti questi chilometri per vedere mucchi d’ossa e pelle raggrinzita, l’abominio di corpi ammassati coperti di mosche, lo sfacelo della vita che si sgretola di pari passo con la dignità? Hanno senso i santoni che si aggirano arancioni e pasciuti tra le masse di turisti che giocano a fare gli straccioni giusto il tempo della permanenza nel subcontinente, in attesa di un volo che li riporti alle camicie bianche e inamidate della loro vita? Varanasi rimane per me un grande punto di domanda, le risposte probabilmente giacciono sepolte sotto cumuli di spazzatura e ceneri di vita.