Quel viaggio all’inferno e ritorno "Sono qui, non mi hanno distrutta"

Tatiana Bucci, sopravvissuta a Auschwitz, ha incontrato gli studenti del liceo “Chini“ a Lido di Camaiore

Quel viaggio all’inferno e ritorno  "Sono qui, non mi hanno distrutta"

Quel viaggio all’inferno e ritorno "Sono qui, non mi hanno distrutta"

di Alice Gugliantini

"Ce l’ho fatta". Lo ripete più volte durante l’incontro Tatiana Bucci, sopravvissuta a Auschwitz, che martedì ha parlato agli studenti del liceo Chini a Lido di Camaiore. "Non mi hanno distrutta come mi avrebbero voluto", rimarca. Bucci, 86 anni, di origine ebraica, nata a Fiume, è stata deportata nel campo di sterminio polacco nel marzo del 1944 e ci è rimasta fino al 27 gennaio 1945. La donna, insieme alla sorella Andra, è stata una dei pochi bambini sopravvissuti alle camere a gas. Il dottor Josef Mengele le aveva scambiate per gemelle: vennero tenute in vita come cavie. La fine della guerra non significa però la fine delle sofferenze. Vengono trasferite in un orfanotrofio a Praga e poi nel Regno Unito. Solo nel dicembre 1946 riescono a ricongiungersi con la madre a Roma, e col padre, anch’egli sopravvissuto.

Signora Bucci, come nasce il suo testimoniare?

"Siamo partiti con gli incontri nelle scuole nel gennaio del 2004, dopo che l’anno precedente era uscito il libro che parlava di noi Meglio non sapere di Titti Marrone. La Toscana ci invitò a parlare e fu proprio con delle classi toscane che abbiamo fatto il primo viaggio della memoria. Il fatto che il primo campo che abbiamo visitato sia stato Majdanek e non quello dove ero stata io, è stato un bene".

E oggi?

"In questo momento è ancora più importante, ormai siamo rimasti un pugnetto di sopravvissuti. Ci siamo mia sorella e io, Sami Modiano, Edith Bruck. In più con la situazione politica a destra, è importante ricordare quello che è stato. L’Italia è stata alleata dei nazisti, ha promulgato le leggi razziali".

Quali sentimenti le lasciano le sue testimonianze?

"È faticoso e doloroso. È un ritorno al passato. Ogni volta riapre la ferita. L’emozione c’è sempre, qualche volta è un sacrificio. Testimoniare è faticoso ma lo faccio perché ci sono le giovani generazioni. Quando esco di qui riesco in poco tempo a ritornare a essere quella che sono oggi. Per mia sorella non è così".

Che ricordi ha del campo di sterminio?

"Gli altri bambini e io eravamo nel "Kinderblock" insieme a altri della nostra età: non arrivavamo a 11 anni. Solo verso la fine della prigionia sono iniziati a arrivare anche bambini di quell’età. Non facevamo assolutamente niente. Giocavamo accanto alla morte, ai cadaveri. C’era una capanna accanto alla nostra in cui giacevano i cadaveri di chi non era morto nelle camere a gas. La morte ci circondava senza sapere che cosa questa fosse. Molto ha inciso che avessi sei anni mezzo, mi sono resa conto di molte cose solo dopo".

Qual è stato l’evento che più l’ha segnata?

"Un giorno una delle guardiane della baracca che ci aveva preso a cuore disse a me e mia sorella “Vi chiederanno se volete rivedere le vostre madri, ma non dovete muovermi“, senza aggiungere altro. Noi le credemmo e così ci siamo salvate. Lo dicemmo anche a nostro cugino Sergio De Simone che però decise di andare. Purtroppo era un inganno, trovò la morte al campo di Neuengamme dopo aver subito esperimenti. Sul perché Sergio abbia fatto questa scelta è difficile dirlo ma di sicuro io e mia morella eravamo in due, lui da solo".

Finita la guerra, che cosa le ha dato la forza di andare avanti?

"C’è voluto un po’ di tempo. La pazienza che il tempo facesse il suo corso. La pazienza che la mamma e il papà hanno avuto nei nostri confronti, di aspettare che noi tornassimo le bambine".

Cosa percepisce nei ragazzi che la ascoltano?

"Sono sempre molto coesi, molto attenti e interessati. Nessuno ci ha mai contestato o ha espresso posizioni negazioniste. Sono sempre molto presi dal racconto e vige un silenzio di tomba".

"La vita è bella", sono le parole con cui Bucci ha concluso l’incontro. In un scroscio di applausi degli studenti.