Perini Navi, dagli anni del boom alla crisi

Stefano Da Prato lavora al cantiere dal 1984 e l’ha visto affermarsi nel tempo. "I problemi sono iniziati con il ricorso agli appalti"

Migration

Ma come viene vissuto il difficile momento che sta attraversando lo storico cantiere Perini Navi da chi ci lavora? Un testimone davvero speciale è Stefano Da Prato, 52 anni, ben 36 dei quali vissuti come dipendente dell’azienda viareggina. Da Prato è un tecnico esperto in falegnameria, e ricopre anche il ruolo di Rsu (Rappresentanza Sindacale Unitaria) interna del cantiere, figura importante per i dipendenti per la tutela sindacale dei lavoratori e lavoratrici oltre a numerose altre attività.

Da Prato, quando iniziarono i problemi di questa azienda così famosa?

"Ad inizio anni 2000 quando, con la crescita del numero dei contratti, la direzione dette in appalto le lavorazioni verso aziende del settore che servivano anche altri cantieri. Da lì in poi, purtroppo l’azienda ha preso a scivolare lentamente sempre più in uno stato di crisi. In quegli anni sono stato eletto come Rsu aziendale e ho poi seguito gli sviluppi del comparto che nessuno di noi pensava fosse così grave".

E adesso cosa sta succedendo?

"Siamo arrivati ad oggi con molte persone già uscite e altre che sembrano essere in pericolo rispetto al loro posto di lavoro. Vediamo cosa ci riserva il futuro. Noi siamo qui per la tutela dei nostri colleghi e colleghe".

Stefano Da Prato, entrò come apprendista nel 1984, giovanissimo, per costruire i primi modellini in scala delle barche del “Signor Fabio Perini”, come tiene a chiamare il fondatore, memore di grande riconoscenza e rispetto per l’industriale lucchese che voleva “fare le barche a vela” a Viareggio.

Qual è il suo ricordo di quell’epoca?

"Oggi può sembrare impossibile, ma allora era così – afferma Da Prato – e il cavalier Perini riuscì nel suo intento. Per noi giovani era come proiettarci nel futuro sapendo di potere contare su di una persona seria, competente e consapevole delle difficoltà che la nuova impresa conteneva. Noi del reparto falegnameria, facevamo tutto internamente. Gli arredi, dai grandi tavoli ai più piccoli cassetti, ai letti armatoriali, erano realizzati nella sede di via Coppino, dove era la ex Arnavi, la falegnameria dei Benetti. Lì, sotto la guida dei più anziani, ho appreso le tecniche per costruire gli interni delle nostre barche, perchè le sentivamo così, come nostre, un’opera artigianale tirata su con passione e competenza".

Quali erano i tipi di legname che veniva utilizzato?

"Anche qui ci sono state le varie epoche. Era il massello che lavoravamo: di teak, di mogano, di acero, a seconda dei gusti dell’armatore. Avevamo il simulacro, sistemato in falegnameria, e lì veniva riprodotto ogni interno da lavorare. Tutto doveva essere fatto al millimetro, e completamente a mano, senza computer, stampanti 3D o altro".

Come è cambiato in questi anni il suo lavoro?

"Quando ho iniziato c’erano la cultura e la storia del lavoro artigianale intese come eredità lasciata dai maestri d’ascia del passato. Eravamo in 24 persone che volevano far bene e migliorarsi sempre più. Il risultato, anche grazie al nostro impegno, erano le più belle barche del mondo".

C’è un manager che ha segnato la storia di Perini Navi?

"In questa occasione, vorrei ricordare doverosamente la figura dell’ingegnere Giancarlo Ragnetti, che è stato sicuramente il miglior amministratore delegato del cantiere".

Walter Strata