L’esperto fa le carte a ’Disclaimer’: "Non ci sarà una Viareggio solare"

Il docente di cinema Giulio Marlia traccia un profilo dell’estetica di Cuaròn

Migration

Ha preso in mano una saga di successo come Harry Potter e l’ha rivoluzionata, allontanandola dai libri e realizzando quello che, a detta dei più, è il miglior film della serie. E’ stato il primo messicano a vincere l’Oscar per la miglior regia con Gravity. E quattro anni fa, con il capolavoro Roma, ha scritto una pagina di storia del cinema, sbancando agli Oscar (miglior film straniero, fotografia e bis personale alla regia) e regalando le prime statuette a Netflix. Alfonso Cuaròn, il più attempato della triade messicana (tra lui, Iñarritu e Del Toro corrono appena tre anni), si appresta a dare il ciak a Viareggio... cosa possiamo aspettarci di vedere su schermo? Lo abbiamo chiesto a Giulio Marlia (in foto), docente di storia e critica del cinema.

"Tenuto conto di quello che ha fatto con Roma, in cui era molto orientato al realismo – spiega – non credo che vorrà rappresentare la città come un luogo fantasioso. Penso piuttosto che dirigerà la sua macchina da presa alla ricerca di facce di Viareggio nascoste, senza indugiare sulla facciata, e cioè il mare, il sole e lo skyline degli alberghi. Mi viene in mente Guendalina, con una Viareggio invernale, più triste e che diventa sfondo di una storia d’amore problematica. La vedo così, poco orientata alla commedia, alla fantasia e al divertimento. Insomma, un po’ come I Vitelloni per Fellini, in cui Rimini non è soltanto il luogo fascinoso dell’estate e delle invenzioni amorose, come sarà poi Amarcord. Mi immagino un approccio meno ’estivo’".

A destare grande interesse è anche il sodalizio con il direttore della fotografia Emmanuel Lubezki, tre volte consecutive premio Oscar (nel 2014 proprio al fianco di Cuaròn, le altre due volte con Iñarritu). "Quando Cuaròn è venuto a Lucca e ha parlato di Lubenski, ha fatto trasparire una grande stima – continua Marlia –; so che sono molto amici e che c’è una rapporto di profonda fiducia. Ha uno stile molto particolare, e ancora una volta, se devo pensare alla messa a schermo, mi vengono in mente le immagini dei quartieri d’infanzia del regista, dei suoi ricordi che troviamo in Roma: una storia quasi autobiografica che però, a differenza di quel che Fellini fa trasparire in Amarcord, è fatta anche di sofferenza, povertà, gente che sta male. Ho la sensazione che Viareggio possa esser vista con un taglio diverso da quello a cui siamo abituati, tipo quello di Virzì nel recente La pazza gioia. Oltre tutto, Cuaròn conosce la città e penso che abbia colto cose diverse da chi, invece, si sofferma sugli aspetti più scontati".

Daniele Mannocchi