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Il Pucciniano che vogliamo Butterfly-capolavoro di Pizzi con la superba Lopez Moreno

Spettacolo da non perdere: venti minuti di applausi alla scintillante prima diretta da Cilluffo. Il regista ha trasformato i cantanti in attori, curando ogni movimento anche per le comparse.

Il Pucciniano che vogliamo Butterfly-capolavoro di Pizzi con la superba Lopez Moreno

Va in scena #ilpuccinianoche vogliamo. Aka Madama Butterfly, la cui première è stata sommersa da applausi finali di oltre 20 minuti. Con la magnificente regia di Pier Luigi Pizzi (in alto a destra), autore anche di scene e costumi affascinanti. Una Butterfly che vola sulla Luna non per strambi allestimenti modernisti, ma spinta da un razzo chiamato Carolina Lopez Moreno. La voce è un organo a canne: legati, pianissimi, acuti esplosivi, dizione perfetta. E tempi lunghissimi con una vis dramatica d’antan.

Sotto la carezzevole direzione di Francesco Cilluffo la compagnia di canto ha fornito una prova esaltante: potente Luciano Ganci (Pinkerton), personalissimo Sharpless disegnato da Bruno Taddia, dolorosissima la Suzuki di Alessandra Volpe; esaltanti Enrico Casari (Goro), Italo Proferisce (Yamadori), Francesco Auriemma (Commissario), Seung Pil Choi (lo zio bonzo). Più che degni di citazione Alessandro Ceccarini (ufficiale del registro), Loriana Castellano (Kate), Taisilia Gureva (madre), e Yo Otahara, Marco Montagna e Romina Cicoli.

Si meritano plausi anche le comparse (i due marinai, un cammeo da film!), il coro diretto da Roberto Ardigò, e ovviamente l’orchestra del Festival. E, su tutti, ha sovrastato Carolina Lopez Moreno che pure debuttava il ruolo. Pier Luigi Pizzi l’ha plasmata come creta, ne ha fatto una Cio Cio San da libretto eppure moderna, spontanea, appassionata. Uno sfoggio vocale elargito senza sforzo apparente. Il pubblico solitamente aspetta al varco "Un bel dì vedremo". Ma la signora Lopez Moreno l’ha scavalcato come nulla, poi s’è concessa perfino il canto con in braccio il bambino, e ha svelato doti di grande attrice. A voler essere inutilmente pignoli c’è stata un’infinitesima incrinatura finale nel duetto nuziale: ma è come l’impercettibile crepa che i grandi artisti scolpivano di proposito negli antichi capolavori, per rispetto degli dei ai quali soltanto spetta la perfezione.

Dietro questa Butterfly iperrealistica c’è la mano invisibile di Pier Luigi Pizzi. A 93 anni, e con un elenco infinito di impegni futuri, ha realizzato quello che ormai troppo spesso manca al teatro lirico. Una vicenda che scorre sotto gli occhi di chi spia da un forellino nella casa di carta, vera, naturale, senza trovate cervellotiche. Ha curato ogni gesto e istante legandoli alla partitura e al libretto. Ha pennellato un legame solidare tra Cio Cio San e Suzuki che è spettacolare nel duetto dei fiori (i petali danzano in aria cone farfalle) e agghiacciante nel prologo, quando la serva aiuta Butterfly a morire con un colpo di grazia del pugnale. Ha cesellato ogni personaggio, perfino le comparse, perfino i marinai che escono di scena giocando e ondeggiando come giovani yankee vagabondi.

Il Giappone di Pizzi è storico, terribile e senza macchiette. I costumi diventano scenografia davanti alla scarna casetta illuminata come ghiaccio, e al fondale nero. I tessuti dei kimono ammaliano ma indicano anche la povertà orgogliosa della decadenza. Solo Pinkerton è imbevuto di un cupo colore primario, il blu. Non c’è bisogno di esotismi, l’immagine è rivelatrice. Il coro a bocca chiusa ammalia e il bel balletto di Diletta Della Martira e Gino Potente si fonde nella storia. E Cio Cio San emerge nel suo sogno tragico di un’America illusoria come un matrimonio lungo 999 anni.

Infine, la casetta su palafitte fa venire a mente proprio la costruzione dello chalet sul lago e le propaggini lignee che dal piazzale, ai tempi di Puccini e prima dell’estensione dell’attuale Belvedere, si spingevano nelle acque del Massaciuccoli. In Madama Butterfly il lago diventa baia di Nagasaki, e l’interpretazione dell’opera di Pizzi richiama indubbiamente l’amore che per tutta la vita legò il compositore alla sua creazione giapponese. Inutile dirlo, questo è uno spettacolo da non perdere. Meriterebbe di essere videoregistrato, come il Pucciniano fece della Tosca con Maria Guleghina e la Bohème di Ettore Scola.

b.n.