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Dai giochi in piazza ai videogame. Le nuove abitudini dei giovani

Lo psicoterapeuta Emanuele Palagi sui passatempi dei ragazzi d’oggi, dal web alla realtà virtuale: "A cambiare in primis è stata la società, con sfiducia e paura dell’altro che ha chiuso le porte di casa" .

Dai giochi in piazza ai videogame. Le nuove abitudini dei giovani

Lo psicologo Emanuele Palagi esperto delle problematiche giovanili

Dalla piazza aperta ad una stanza con una trasformazione nel modo di vivere, pensare e trascorrere il proprio tempo libero, per i giovani, che, come afferma Emanuele Palagi, psicoterapeuta specializzato in psicopatologia dell’adolescenza, parte, in prima battuta, da una società chiusa e diffidente.

Dottor Palagi, che cambiamento c’è stato?

"C’è un minor tempo trascorso all’aperto, anche con una minor attività fisica. Perché spesso spostiamo l’attenzione sui media, ma anche lo sport e le attività all’aperto hanno un impatto sulla gestione dello stress. L’attività all’aperto, con le sfide relazionali apportate, mette in gioco caratteristiche che i videogiochi, in ambienti predefiniti, non hanno. La fantasia, innanzitutto, non ha un ruolo centralissimo, spodestata da un realismo maggiore e meno creativo".

È un cambiamento che ha impatto anche sulle emozioni?

"Sì, sulla loro gestione. Perché se giochi con i coetanei, puoi vincere o perdere moltissimo, e il teatro è sempre la relazione. Oggi, invece, il teatro è la relazione virtuale. Si è perso un certo tipo di socialità e anche di visione della città, del valore dei quartieri, che si vivono meno, e diventano impersonali. Un po’ come il gioco di arco e frecce, divertente ma se lo usi male ti levi un occhio, le tecnologie hanno da un lato cose positive, come l’accesso ad informazioni globali, cosa prima impensabile, ma dall’altro il pericolo di disinformazione, inadeguato. Il mondo virtuale ha portato maggiori possibilità ma, paradossalmente, ha spinto i bambini e i ragazzi ad un isolamento e ad un peggioramento del benessere psicologico".

Secondo lei perché c’è stata questa chiusura, dalle strade alle porte chiuse?

"È stato un mix di cose, in parte il cambiamento urbano. Quante macchine passavano quando i nostri nonni giocavano per le strade? Quante notizie di violenze su minori circolavano? Oggi, non c’è più la piazza perché c’è più paura. Secondo me, la fase dei rapimenti ha fatto perdere la fiducia negli altri, portando a pensare che l’altro fosse un pericolo. E ci siamo chiusi nelle case, ma prima dei ragazzi lo hanno fatto gli adulti, e a seguire è cambiato il contesto sociale, con la perdita della sua spontaneità e visione dell’altro. E le tecnologie, attraenti e appetibili, hanno contribuito, avendo successo in un vuoto che c’è, a chiudere delle case già serrate. Tecnologie che, però, portano con sé anche cose positive".

Ad esempio?

"Internet non è solo fruizione, ma anche produzione di contenuti. Alcuni ragazzi, ad esempio, vogliono fare i cantanti trap, ma non vogliono solo farlo come ai vecchi tempi si incideva sui dischi scopiazzando The Beatles, oggi lo fanno con più competenza. Hanno abilità incredibili, come nel caso dei contenuti video, o di attenzione all’ambiente. È una generazione immersa nella tecnologia, abbiamo dato loro in mano tutto senza le istruzioni. E su questo penso che siano anche troppo bravi. Pensiamo ai giochi da tavolo, è una meraviglia avere l’accesso a giochi super creativi e coinvolgenti, ma è anche compito dei genitori educare ad un certo tipo di mondo. Stiamo perdendo l’occasione di mettere insieme il sapere con il sapore dell’innovazione".

Tradizione e innovazione insieme, è lo sguardo per il futuro?

"Guardiamo da sempre, al passato in modo nostalgico, ma sarebbe bello prendere quel momento storico proponendolo non chiudendo le piazze e le porte, ma aprendole, prendendo il buono e aggiungendolo alla tecnologia di oggi".

Gaia Parrini