"Costretti a lavorare con la febbre a 37.4"

Il personale sanitario è allo stremo delle forze. Pasquinelli: "Si sapeva della seconda ondata, ma non è stato fatto nulla in previsione"

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"La situazione è critica". L’allarme arriva da Roberto Pasquinelli, segretario provinciale del Nursind. Che descrive la situazione vissuta dagli infermieri in queste prime settimane di risalita del Covìd. "Ho paura che in questi mesi siamo rimasti un po’ al palo - commenta - quando invece avremmo dovuto prepararci al meglio. Si sapeva che il Coronavirus sarebbe rispuntato tra l’autunno e l’inverno. Siamo a fine ottobre e i reparti sono già pieni, con le terapie intensive quasi al limite. Oltre tutto, le decisioni vengono prese dall’oggi al domani, senza una reale programmazione, e anche per noi non è facile lavorare ogni giorno in un contesto diverso".

A fronte di contagi in continua crescita, cosa è stato fatto per potenziare i comparti sanitari deputati a lottare in prima fila contro il virus?

"A differenza di marzoaprile, siamo tranquilli sotto il profilo dei presidi, ma non abbiamo l’organico per affrontare l’emergenza. Lavorare con pazienti positivi vuol dire indossare protezioni che non permettono di andare in bagno pure per dieci ore, o anche solo di stropicciarsi un occhio. E poi si suda, c’è un surplus di stress, e l’impegno coi pazienti è molto più pressante. Ci si stanca e molti di noi non hanno ancora recuperato dallo sforzo della scorsa primavera, soprattutto sotto il profilo psicologico. In tutto questo, so che hanno chiamato in servizio un po’ di infermieri e operatori, ma ci sono tempi tecnici da rispettare e al momento non abbiamo visto neanche una persona in più. Si parla di un centinaio di infermieri extra, ma secondo me un vero potenziamento si avrebbe con 3400 unità, anche perché le previsioni non sono rosee. Quel che c’è ora di sicuro non è sufficiente, e se la mobilitazione fosse partita due mesi fa, non saremmo in queste condizioni".

C’è poi la questione dirimente del monitoraggio del personale.

"Il personale comincia a essere aggredito dal Covìd; si parla di circa 500 persone che sono rimaste positive e questo vuol dire una carenza ulteriore di lavoro; inoltre, le procedure non sono sufficienti a tutelarci. L’indicazione per gli infermieri è di andare a lavorare a meno che non si abbiano i sintomi o la febbre almeno a 37.5 gradi e non è previsto niente per il personale, nonostante il pericolo che si possa veicolare il virus. Dobbiamo essere tutelati di più. Ci sono già dei colleghi in subintensiva e intensiva tra infermieri e dottori. E’ necessario che l’Azienda trovi un metodo per sviluppare un controllo più puntuale del personale".

Anche perché, se il Coronavirus dovesse falcidiare i ranghi già esigui degli operatori sanitari, il rischio concreto è che possano essere nuovamente congelati esami, interventi e visite non essenziali.

"Ho paura che arriveremo in una situazione analoga. L’Azienda ha aperto delle manifestazioni d’interesse per coprire determinati reparti, ha emesso bandi per richiamare i pensionati. Insomma, stanno cercando di usare tutto quello che possono per contrastare l’epidemia, ma facendo tutto in emergenza e senza un’adeguata programmazione. Siamo reduci da un’emergenza in cui ci hanno considerato eroi, ma finita la crisi siamo diventati invisibili. Ci hanno promesso l’indennità da malattie infettive il 23 febbraio e ce l’hanno pagata otto mesi dopo e abbiamo dovuto aspettare mesi anche per tutto il lavoro extra svolto nella prima ondata. Siamo professionisti che amano il loro lavoro, ma non siamo soddisfatti".

Daniele Mannocchi